Al grido di Belli chi molla Boycott the Oscars il 21 dicembre si è consumata Indiependenza 2022, seconda edizione dei premi videoludicamente scorretti – e pertanto inutili e superflui – del mondo più o meno indie. Chi non c’era si è persə una roba incredibile pazzissima da davvero fra che avevi di meglio da fare, però oh, nell’era dell’iper-informazione ci sono le repliche delle live. Non hanno senso, ma esistono.
Non sai cos’è Indiependenza? Male. Praticamente è una serata dove i premi e le categorie non contano un cazzo. Come ai TGA, solo che invece di vendere spazi pubblicitari lo scopo è parlare di giochini indie. Ma non da soli, eh. Assieme a delle Persone Indiecate.
Pippo’s Choice Award
Come l’anno scorso, sul gruppo Facebook ufficiale della Ribellione™ c’era un becero sondaggio aperto una settimana prima dove voi stronzə potevate votare il vostro giochino favorito 2022. L’anno scorso aveva vinto Death’s Door, quest’anno invece il più amato dallə italianə è Tunic. A conferma che tutta quella sega mentale sul multiplayer sociale non era poi così campata per aria e che insomma, saremmo pure quelli della sborra e delle bestemmie ma i giochini li capiamo. O che abbiamo una community in fissa con gli animalini, una delle due.
Sapore Littorio Award
Il token irredentista della serata, con tanto di inno patrio in sottofondo e storpiatura facista dei titoli dei giochini candidati. Un modo come un altro per parlare un po’ della scena indie italiana, che quest’anno si è prodotta anche in tentativi di sfondare nel mercato dei Doppia-A come con AnimsolstizioSoulstice. Ma la spinta più interessante arriva dall’indie-quello-vero, senza publisher, senza team e con nient’altro che un’idea in testa. Ecco i nominati:
Vampire Survivors, di poncle. Il gioco che ha rischiato di fermare la produttività di Gameromancer per una mesata perché c’eravamo finiti sotto male, ma pure Phil Spencer non ha scherzato visto che dalla sua gamertag risultano un numero improbabile di ore sul giochino;
Soulstice, di Reply Game Studios. Devil May Cry all’Amatriciana, un’opera prima non priva di difetti e vittima – come ti sbagli – dell’effetto “Nuovo Gioco -” dove i giochini durano sempre più di quello che si potrebbero permettere ‘cause it’s marketing bitch ma che qualcosa di interessante da dire ce lo aveva eccome;
tERRORbane, di BitNine Studio. Perché mica solo UnepicFran può fare i giochi comedy, anzi, qua siamo davanti ad alcune trovate di design che oltre a pisciarsi addosso dal ridere sono apprezzabili proprio in quanto tali. E poi oh, c’è un dissing a Nomura. Imperdibile;
Freud’s Bones, di Axel Fox. O “le ossa di Sigmundo”, per dirla in modo littorio. Di Freud’s Bones ne ha parlato tipo tutta Italia in qualunque le salse, ma solo noi abbiamo dissato la sviluppatrice perché nella demo c’era un tavolino storto e all’Avvocato ‘sta cosa toglieva il sonno. Poi sono io quello socipatico, eh;
non–binary, di owof games. Persone incredibili che fanno giochini incredibili e con secchiello e paletta riescono a farti sentire impotente mentre giochi nei panni di una manciata di pixel a forma di palla. C’era riuscito anche un certo Yoko Taro, così, per scomodare un paragone scomodo.
non-binary è free to play (e senza microtransazioni, suca Kotick) su Steam. Ma sono dell’idea che le cose belle non vadano solo endorsate ma supportate, per cui uscite qualunque cifra vi sembri opportuno (anche dopo averlo giocato) su itch.io.
Il non-fungible-award dal retrogusto abissino se lo porta a casa Vampiri Sopravvissuti perché è letteralmente una droga. Anzi per favore basta farlo uscire sulle varie piattaforme che data la mancanza di cross-save mi ritrovo a finirlo da capo ovunque e poi non esce il content.
Halo Infinite Award
Il premio per il giochino che ci si è scordati più in fretta di quest’anno porta chiaramente il nome di Halo Infinite. 343 pensava di aver fatto il miracolo dopo la presentazione più pezzente della storia, #einvece. A officiare la cerimonia e a curare la categoria c’è Andrea Porta di Storie di Videogame, il podcast che vorrei fare io se non facessi già il podcast più famigerato in Italia. La prima persona indiecata dello show droppa nomi pesanti come:
The case of the Golden Idol, di Color Grey Games. Un punta e clicca investigativo basato sulle parole (non come Heaven’s Vault, ma se vi è garbato Heaven’s Vault magara anche questo) che non scherza nemmeno come colpo d’occhio;
Not for broadcast, di NotGames. Praticamente Francesco Alteri Simulator, ci si trova a fare la regia di trasmissioni live che vanno in tivvì decidendo quando e come esercitare il super potere della censura. Sì, fuori la politica dai videogiochi;
Betrayal at Club Low, di Cosmo D Studios. Aka il giochino dove ti devi infiltare in una discoteca vestito da pizza delivery guy per salvare un tuo collega;
Grid Slayer, di Otis Miller. Assecondando il filone dei deck builder che ormai tiene banco da un paio di anni, l’idea è quella di mescolare questo approccio con un’assoluta libertà di azione sulla griglia per far succedere cose pazze a schermo;
Taiji, di Matthew VanDevander. È in pratica la risposta alla domanda che non sapevi di volerti porre: cosa succederebbe schiacciando The Witness in due dimensioni?
Oltre ad essere uno che ne sa un sacco e un grandissimo professionista, Andrea è uno che non ha paura di risponderci “stocazzo” quando proviamo a coinvolgerlo in iniziative strane. Tipo quella volta che lo abbiamo trasformato in una creepypasta per una delle nostre MemoryCard.
Vince Not For Broadcast anche e soprattutto per via del suo messaggio politico.
Calzati Award
Il premio per il gioco di genere, cioè un gioco che non si inventa nulla o quasi ma che semplicemente fa bene quello che ci si aspetta faccia bene. C’è il nome di Calzati sul premio perché è una delle espressioni che abusa di più quando parla di giochini, oltre al “piuttosto che” in senso disgiuntivo peché è milanese.
Soulstice, di Reply Game Studios;
Signalis, di rose-engine. Un po’ Resident Evil, un po’ Silent Hill 2, un po’ Metal Gear Solid e comunque tantissimo cuore e altrettanto da dire sotto la coltre di richiami ad altre opere.
Ghost song, di Old Moon. Figurati se potevano mancare i metroidvania in una categoria del genere;
The Last Hero of Nostalgaia, di Over the Moon. Più che un soulslike un souls clone, però con un paio di idee nuove che si fanno apprezzare nonostante le sbavature;
Rogue Legacy 2, di Cellar Doors Games. Tutto quello che era Rogue Legacy ma più grande e cattivo e con una piega roguevania più decisa fin da subito;
Il Calzati d’oro se lo porta a casa Signalis per il significato particolare che ha avuto a livello di community. Leggetevi la cazzo di rece, merde.
Giustizia Sociale Award
Il premio dedicato ai giochini che non si sono arresi con noi e vogliono provare a renderci esseri umani decenti. Maestra di Cerimonia per l’occasione è Azalona, che è una che tendenzialmente per l’indie si sbatte un sacco e se li gioca sulla piattaforma di Bezos assieme alla sua community. E poi oh, è una sorella anarchica, potevamo mica non invitarla.
Citizen Sleeper, di Fellow Traveller. La stessa mente di In Other Waters questa volta decide di andare in piena modalità anti-capitalismo e chiedersi come vivrebbe un automa al di fuori del sistema che ok, ne garantisce l’operatività, ma di fatto lo condanna alla schiavitù?
non–binary, di owof games;
Endling: Extintion is Forever, di Herobeat Studios. Il gioco della volpe uscito mentre era trend quello del gatto e che per cui è stato meno cagato del lecito, che cerca di parlare di ecologia attraverso la storia di una mamma pelosa alla ricerca di suo figlio;
He fucked the girl out of me, di Taylor McCue. Un gioco che fa MALISSIMO e proprio per questo andrebbe giocato. Tanto più che gira su browser e volendo anche sull’emulatore per Game Boy;
How to Say Goodbye, di ARTE France. Un gioco che tocca il leggerissimo e per nulla tabù tema del lutto, che pur perdendosi un po’ con qualche enigma un po’ troppo rompicazzo/asciugafiche era degno di menzione;
Vince chiaramente He fucked the girl out of me. È un gioco che fa veramente male, crudo come solo la vita vera riesce ad esserlo. Con la differenza che la vita vera è cruda perché ci comportiamo di merdissima noi con il prossimo, mentre i giochini quando lo fanno è per un bene superiore. E possiamo crederci, a differenza di quando l’espressione “bene superiore” la usa qualche governo.
ToyCenter Award
Si premia il miglior giocattolo, aka il giochino che al netto di tutti gli altri suoi aspetti ha dato più soddisfazione pad alla mano. La persona indiecata è Marco Bortoluzzi, scribacchino presso Frequenza Critica e The Games Machine. Perchè lui? Perché fatti i cazzi tuoi, oh. E perché comunque nel giro di poco quando è arrivato in community s’è fatto subito notare per aver provato ad alzare il livello medio delle discussioni (fallendo miserrimamente, ovvio) per cui in fondo in fondo gli si vuole bene.
Neon White, di Angel Matrix. Non propriamente indie in senso stretto visto il coinvolgimento di Annapurna, però se parliamo di giocattoli siamo tra le teste di serie di questa annata;
Teardown, di Tuxedo Labs. Praticamente Minecraft ma ambientato a Lambrate, un sandbox di quelli dove la libertà regna sovrana e succedono un sacco di cose fuori di testa e imprevedibili;
Cultic, di Jasozz Games. Suona come un Doom Clone e lo è, non a caso arriva sul mercato spinto da 3D Realms che insomma di boomer shooter ne sa (e ne ha fatti) a pacchi;
The Knight Witch, di SuperMega Team. Battezzato subito “l’unico metroidvania dove non c’è il power-up col doppio salto” dal Cummenda, è un souslike. No, è ovviamente un metroidvania. Un po’ sui generis perché si incrocia con un bullet hell e ci sono le magie e le maghette. Insomma, è robba;
Elden Ring Vampire Survivors, di Poncle;
Vince Neon White perché va bene tutto, ma lo stavamo aspettando da quel Nindies dell’anno scorso dove qualcuno ha escalamato “ma è Doom col Burraco” e non poteva che essere così.
La Co-Op sei tu Award
Giochini coperativi. Perché è una delle tante fisime dell’Avvocato e quest’anno è riuscito pure a tirarci in mezzo il Boss Finale.
We Were Here Forever, di Total Mayhem Games. Del primo We Were Here avevamo parlato in un podcastino clickbait [cit. necessaria] sul giocare gratis o a basso budget. Forever è l’ultimo capitolo della serie, costa un 20 ma li vale tendenzialmente tutti. Sempre se non lo giocate con Fra;
Windjammers 2, di Dotemu. La quota Sorichetti di quest’anno, a metà tra sportivo e picchiaduro (ma in realtà molto più picchiaduro che sportivo). Sequel di un giochino su cabinato disponibile dal lancio su Game Pass per farci capire quanto sia senza senso la storia dei videogiochi, ancora oggi mi chiedo perché cazzo non ci sia un tutorial fatto decentemente in-game. Tacci loro;
Coromon, di TRAGsoft. Praticamente Pokémon Rosso Fuoco ma con un level design che non fa schifo e il multiplayer cooperativo. Game Freak c’ha messo 30 anni;
Rollerdrome, di Roll7. In buona sostanza Jet Set Radio incontra Max Payne e vanno a ragliare un po’ di bamba assieme.
Non poteva che vincere We Were Here Forever, perché dei nominati è l’unico per cui il concetto di Co-Op è perno di tutto il game design. O insomma, una cosa del genere.
Famolo Strano Award
Giochiamo indie soprattutto perché è dove di solito il videogioco viene portato su strade poco battute. Non necessariamente facendo passi avanti, a volte si torna anche indietro o il movimento è laterale, sfiorando un videogioco che poteva essere ma poi non è stato. Ma sono passi che a prescindere dalla direzione è sempre il caso di fare. La persona indiecata in questo caso è Luca Parri, designer del numero zero di Kuma, collaboratore di giustizia presso StayNerd e voce di quel podcast lì, dai. Quello che non è in top 10 giochini perché ti devi inchinare alla potenza di Gameromancer pure se ti stiamo sul cazzo ti devi (cioè Indie Comune). Ecco le nomination:
Immortality, di Half Mermaid. Sam Barlow che va in modalità DAMS e trasforma il Cinema in gameplay, mettendo la moviola al centro di tutto e raccontando una storia che c’ho l’ansia addosso solo a ripensarci;
Scorn, di Ebb Software. Una gigantesca metafora dell’aborto – o almeno così dice l’Avvocato, io ho fatto l’ITI. Inciampa perché su certe cose è ostinatamente miope, e forse anche ostinatamente brutto. Ma è parte del suo fascino;
Who’s Lila?, di Garage Heathen. L’idea è quella di un’avventura punta e clicca dove invece dei dialoghi si ha il controllo sulle espressioni facciali dei personaggi. Il tutto impacchettato con uno stile grafico che Game Boy Camera dove sei che ho bisogno di fare cose;
Queer Man Peering Into a Rock Pool.jpg, di Fuzzy Ghost. Ostentatamente strano, è un sandbox dove nei panni di un uomo queer si vaga per un’isola alla ricerca di cose da portare a casa sua;
He Fucked The Girl Out Of Me, di Taylor McCue;
Il vincitore è Queer Man Peering Into a Rock Pool.jpg proprio perché incarna alla perfezione il significato della categoria.
Wholesome Award
Il premio per i giochini carini. Qua ad officiare non potevano che essere i due Arcadia Café, in quanto assurti al ruolo di anti-Gameromancer e incoronate persone più wholesome della critica italiana.
Tunic, di Tunic Team;
Freud Bones, di Axel Fox;
Pentiment, di Obsidian. L’ultimo figlio dei Microsoft Studios è sostanzialmente una visual novel che gioca fortissimo coi testi e, a questo proposito, ‘tacci loro che non hanno pensato minimamente a creditare chi si è occupato della localizzazione del gioco;
Somerville, di Jumpship. Se ne è parlato forte perché Jumpship è lo studio dell’ex CEO di Playdead, Dino Patti. È caduto un po’ nella trappola dell’hype, non riuscendo mediamente a rispettare le aspettative che un po’ tutti avevamo intesta. È un gioco un po’ insommerville, si potrebbe dire;
Venice 2089, di Safe Space Studio. Col MOSE ci hanno scammati tutti e lo sappiamo. La Venezia del 2089 infatti rischia di finire sott’acqua nonostante finalmente siano arrivati sul mercato gli hoverboard stile Ritorno al Futuro e i droni si trovino al supermercato;
Anche qua Tunic piglia tutto.
Garko Award
Per curare e presentare il premio per il gioco più belloccio non ci si poteva che rivolgere a lui. L’uomo da cui Stefano Calzati ha imparato ad essere uomo, il massimo esperto di fotografia del giochino applicata alla Game Critic qui in Italia, endorser per qualche motivo di Control Daniele Dolce. Secondariamente – ma solo in seconda battuta – anche qua vale il ragionamento per cui ce lo siam trovato in community e a parte l’odio immotivato per DmC Devil May Cry Daniele è una persona che nei gruppi di Gameromancer si spende e per cui quasi per caso ci siam ritrovati ad avere stima. Fino ad aver visto la lista dei nominati, quantomeno.
I Was a Teenage Exocolonist, di Northway Games. Per certi versi filosoficamente molto simile a Golf Club Wasteland, la premessa è che la Terra è fottuta perché non abbiamo ascoltato Greta (o Barret, se siete cresciuti con Final Fantasy 7) e quindi la domanda che ci si pone è “come sarebbe la vita dei coloni terrestri su un altro pianeta?”;
Norco, di Geography of Robots. Punta e clicca cyberpunk che a differenza dell’altro punta e clicca cyberpunk di cui non famo er nome non è reazionario;
Timothy and the Tower of Mu, di Kibou Entertainment. Un platform apparentemente “alla vecchia” che in realtà non si ferma all’idea di fare la cover della roba che ci piaceva tanto su SNES e prova a immaginare come la suonerebbero oggi i grandi dell’epoca. Ci riesce pure, perchè messe da parte le bestemmie che Timothy richiede al posto dei gettoni per essere giocato c’è spesso la sensazione che il genere si sarebbe dovuto evolvere in questa direzione qui, piuttosto che sedersi e riproporre sé stesso finché funziona farlo;
Tunic, di Tunic Team;
L’Alteridan d’Oro quest’anno va a Immortality.
Pezzotto Award
Ora, l’etichetta indie non ha un cazzo di senso. Quantomeno non lo ha oggi, perché magari in passato nonostante quanto dicono gli integral-marxisti un significato c’era. Per le categorie curate direttamente da Gameromancer abbiamo deciso deliberatamente di escludere i giochi che vedevano il coinvolgimento di:
Sony, Microsoft e Nintendo (per fare un esempio: Sifu e Pentiment). Perché dai, sono i tre platform holder del mercato, c’hai automaticamente una visibilità che ciaone;
Devolver e Annapurna. Perché negli anni si sono ritagliati un posto al sole decisamente assolato, perché oltre alle persone che possono raggiungere per i cazzi loro sui loro canali quando in redazione t’arriva il comunicato stampa col loro logo questo si traduce automaticamente in una news. Non a caso quest’estate Cult of the Lamb ha fatto i soldi con la pala;
Abbiamo invece allargato la definizione tirando dentro publisher piccoli (tipo Finji) perché nell’accezione di indie in quanto autopubblicato ormai sul mercato resta veramente poco. E non penso che sia salutare ragionare a compartimenti stagni, soprattutto in un evento dove i premi sono una supercazzola e l’idea è banalmente parlare di videogiochi che ci sono piaciuti un sacco. Noi sguazziamo nell’indie e nel corso dell’anno parliam soprattutto di indie, e non penso che Elden Ring c’abbia bisogno della mia validazione per vivere, per cui Indiependenza.
Tutto questo panegirico per dire che c’è un premio per il finto indie, l’indiempostore, il Tripla-I, chiamatelo come cazzo vi pare, che c’è piaciuto di più. Avete trovato altri di questi anche nelle categorie degli ospiti, perché nel momento in cui affidi la curatela a qualcuno imporre una tua definizione assolutamente arbitraria di indie è idiota. E il senso di Indiependenza è soprattutto fare qualcosa assieme.
Pentiment, di Obsidian;
Stray, di BlueTwelve. È tipo l’unica categoria che c’è e c’è su insistenza di Calzati perchè a tutti gli altri (come noto) non ha fatto impazzire. È un gioco nella stessa tier di The Gunk solo che ce sta er micio;
Neon White, di Angel Matrix;
Cult of the Lamb, di Massive Monster. Un gioco da setta-setta e mezzo [cit.] che mi ha fatto pensare a come in realtà chi sta a capo di un culto sia un po’ come un influencer, cioè da fuori è visto come la cima di una catena alimentare di cui invece è proprio l’anello debole. O comunque quello sottoposto a più tensioni;
Sifu, di Slocap. Gli si vuol bene già solo perché è un gioco di mazzate che segna la differenza tra chi sa parlare di giochini e chi no, perché il fatto che ci sia (circa) la permadeath non lo rende un roguelike/roguelite/roguequalcosa;
Vince Neon White.
Stalin Award
Il premio per chi vuole la politica fuori dai videogiochi. LOL, ci hai creduto eh?
Citizen Sleeper, di Fellow Traveller;
The legend of Tianding, di Neon Doctrine. Un action side-scrolling che praticamente parla di Robin Hood, ma in Cina;
Rogue Legacy 2, di Cellar Doors Games;
Signalis, di rose-engine;
Swordship, di Digital Kingdom. Praticamente Waterworld incontra Gearshifters;
Non poteva che vincere Citizen Sleeper, perché è dove la tematica kompagna viene fuori in modo più sfacciato.
Nun Te Pagamo Award
Il miglior giochino che non hai pagato perchè stava su Pass, Plus, lo ha regalato Epic, è caduto da un camion giuro signora mi creda. Le voci sono solo 4 perché chi doveva revisionare le cose – aka il Boss Finale – non se nè accorto. Potete vessarlo per questo.
Tunic, di Tunic Team;
Norco, di Geography of Robots;
Windjammers 2, di DotEmu;
Citizen Sleeper, di Fellow Travellers;
Ha vinto Tunic. Essenzialmente perché volevamo premiare Tunic in una categoria interna.
Indiependenza Award
Oh, il GOTY. Il gioco grosso grosso che ci ha cambiato la vita, o che quantomeno ha caratterizzato quest’anno. Prima però c’è l’orchestra, ‘che mica siamo più scemi di Geoff.
I giochi candidati sono:
Citizen Sleeper, di Fellow Travellers;
Tunic, di Tunic Team;
Signalis, di rose-engine;
Vampire Survivors, di Poncle;
The Stanley Parable Ultra Deluxe, di Crows Crows Crows;
Chi ci ha seguito quest’anno avrà già immaginato che l’Indiependenza Award va a The Stanley Parable Ultra Deluxe. Molto banalmente perché è il videogioco che ci ha fatto sentire più piccoli giocandolo, per cui sono ancora personalmente in difficoltà a trovare le parole. Vi lascio un link a una recensione qualunque che del gioco non parla manco per sbaglio, perchè altro non posso fare. Dovete giocarvelo.