Succede sempre più spesso. Piccolo studio sviluppa giochino low budget ma col graficone, publisher coi sordi ci bombarda di pubblicità, Microsoft ce lo droppa aggratis col Game Pass. E ovviamente aggratis non si butta via niente, per cui che fai, non lo provi?
A quel punto magari il giochino è pure fico. Ed è lì che il grande pubblico riesce finalmente a strappare il cazzo di velo di Maya: ci si può divertire, e pure assai, anche non giocando per forza i tripla A. Incredibile, vero?

È successo, ad esempio, per Hi-Fi Rush, per Trek to Yomi, per tanti altri, e recentemente è toccato al pur valido Planet of Lana.

Leggermente diverso, ma sostanzialmente sovrapponibile, anche l’immenso successo di Stray. Evidentemente più di qualcuno ha compreso che si può sfruttare il mercato e l’estetica (senza riprodurne necessariamente il linguaggio e la poetica) dei prodotti indie, riuscendo contemporaneamente ad arrivare fortissimo anche al “pubblico generalista”.

Tanto che si riesce pure a essere tra i candidati per il Game of the Year in mezzo a colossi come Elden Ring e God of War.

Ci si può divertire, e pure assai, anche
non giocando per forza i tripla A.
Incredibile, vero?

“Beh, buono no?”, direte voi. “Così l’utente medio ha la possibilità di provare cose che altrimenti non proverebbe mai e di capire che può piacergli anche altro, oltre il classico action open world”

Buono un cazzo, vi rispondo io.

In primis, perché, in questo scenario, anche su Game Pass varranno le stesse identiche leggi che valgono per il mercato “classico”. E quindi il giochino che ce la fa non sarà necessariamente quello migliore, ma semplicemente quello più spammato. Di conseguenza, per ogni Hi-Fi Rush che spacca, ci saranno decine di Unpacking e Exo-One, roba altrettanto figa che però ci siamo cagati in venti e di cui è veramente difficile anche provare a parlare.

In secundis, perché non bisogna mai sopravvalutare l’utente medio. L’utente medio è quello che ascolta la musica che passa in radio o che gli spaccia Spotify. L’utente medio non cliccherebbe mai sui riquadrini che vedi qui ai lati perché non sa cosa vuol dire il verbo “approfondire”.

L’utente medio non fruisce di quello che gli piace ma di quello che gli tiri addosso. E se sei abituatə a frequentare il mercato indie, sai benissimo che per trovarne di davvero validi molto spesso l’unica cosa che si tira sono parecchie bestemmie.

Perché se non vuoi accontentarti dei soliti noti, quelli spammati un botto di cui sopra, c’è da rimboccarsi le maniche e scavare nei meandri dei consigliati di Steam che sono una merda (o, in alternativa, ascoltare i nostri cestoni indie, ndr).

Ma è molto più facile a dirsi che a farsi. Innanzitutto, c’è bisogno di una bella pera di pazienza distillata. Poi sicuramente un minimo d’esperienza e un po’ di fiuto per riconoscere a naso le evidenti sole, senza stare a perderci troppo tempo. E, infine, servirebbe una certa consapevolezza. Del mercato, certo, ma soprattutto di te stessə. Di quello che ti piace, di quello che ti fa cagare, di ciò che non hai mai voluto provare ma che forse forse declinato in un certo modo potrebbe fare al caso tuo.

Conosci te stessə“, direbbe Socrate se fosse ally. Conosciti attraverso quello che ti sta attorno, attraverso tutto. Compresi i tanto bistrattati giochini. Perché se è vero che non ha senso fare gli snob elencando tutti quelli che hanno fatto le stesse cose prima (e che io, essendo stocazzo, ho chiaramente giàggiocato), non ha senso nemmeno fermarsi alla superficie, a quello che decide il marketing.

Dopotutto, se ti è piaciuto questo spicchio di universo, perché non provare ad esplorare altri pianeti?

See you space cowboy…