SegheMentali Svegliati onironauta

Tutto ciò che non viene ricordato cessa di esistere

È il 25 Dicembre 2000, da giorni scrutavi una scatola impacchettata sotto l’albero, sicuramente una cartuccia del gameboy; nella tua testa rimbombano sempre gli stessi pensieri: “Pokémon oro o argento, Pokémon oro o argento”. Metti da parte ogni altro regalo per scartare proprio quello con foga. Strappi il bordo più alto, svelando un pezzo del fantomatico logo giallo e blu.

Travolto dall’emozione non capisci più niente, ignori le stranezze della copertina e continui a scartare imperterrito; poi, silenzio tombale. Niente Lugia e niente Ho-Oh in bella vista, solo una pokéball e quella maledetta scritta: trading card game. Nessuno aveva mai voluto imparare le regole del gioco, era sempre e solo una gara a chi flexava la carta più brillante nel cortile di scuola. Il tuo sogno di viaggiare e diventare ancora campione della lega era svanito; ti eri trovato in mano un surrogato di quell’avventura. I mostri che ti avevano stregato erano stati ridotti a immagini prive di vita, lontanissime dall’idea di compagni.

Ogni elemento scimmiottava ciò che avevi già vissuto e amato.

Un’esperienza traumatica che avevi deciso di nascondere, di relegare ai tuoi peggiori incubi. Quella cartuccia non era tollerabile, non poteva competere con la sacralità della serie principale. La parola d’ordine era dimenticare; almeno fino ad oggi, perché qualcuno ha osato disseppellire questo spin-off dalla sua tomba.

Quell’ombra nefasta che avevi provato a cancellare è tornata. Hiki ti ha proiettato nuovamente in quell’incubo, ma non prima di aver manomesso i tuoi ricordi. In fondo la tua memoria non è altro che un registro, sovrascrivibile per sua stessa natura. Charmender e i suoi amici non ci sono più, quell’immaginario familiare si è quasi estinto e ne rimane solo una replica sfregiata; un atto vandalico nei confronti dei tuoi idoli sacri. In questo universo vagano solamente anime perse: onironauti intrappolati in un limbo di dati corrotti. Esseri digitali che scandagliano continuamente flussi di codice per trovarne un segmento specifico: quello in grado di confermare la loro esistenza.

È il medesimo dramma del protagonista di Plaguemon Kado, incapace di autodefinirsi all’interno di un mondo digitale. Accetta di essere subordinato a una terapia sperimentale pur di riallacciarsi al suo corpo fisico: il suo unico modo di ancorarsi al reale; senza di esso non ha strumenti per combattere una forza che lo disperde, lo cancella. La sua anima digitale è perennemente messa in scacco da un sistema capace di riscriverla a suo piacimento. Non può sottrarsi a una catena di finzioni che lo allontanano sempre di più da qualsiasi certezza. L’aspetto più grottesco è che in un mondo così ostile, quello stupido gioco di carte rappresenta l’unica via di fuga, l’elemento base di ogni terapia. Le carte – in questo contesto pillole – sono necessarie per arginare le minacce di un mondo schizzato.

Quello stupido gioco di carte rappresenta l’unica via di fuga

Nonostante l’estrema ostilità di questo immaginario, risulta impossibile non rimanerne ammaliati; sono i Plaguemon a catturarci con le loro deformazioni e perversioni. Ognuno di essi ha una propria genesi definita sia dallo sprite, ormai mutato, sia dal ricco flavour text; alcuni compaiono in più versioni, permettendo di approfondire la storia dietro le loro origini. Mostri che riescono così a dimostrarsi pienamente coerenti con gli ambienti che abitano. Gli angoli più remoti di questo mondo impazzito nascondono anche i pensieri più reconditi di Hiki; schegge della sua mente compaiono sottoforma di haiku, donando una certa intimità all’esperienza ludica.

Intimità enfatizzata anche dalla tipologia di operazione effettuata: una rom hack che mira a trasmettere l’immaginario partorito dalla mente dell’autore. Il cuore delle meccaniche non viene intaccato perché da quel punto di vista il gioco ha già detto tutto quello che aveva da dire; il vero fulcro dell’opera è rintracciare quanto Hiki ha voluto comunicare. Plaguemon Kado è come un incontro faccia a faccia con lui.

Inoltre, poter giocare su una vecchia console come il Game Boy Color apre tutta una serie di ricordi che ben si adattano alla dimensione onirica suggerita dal wake up della schermata iniziale.

È dunque arrivato il momento di svegliarsi.

Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?