SegheMentali Shenmue, ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare il vuoto

Anche se è un ammasso di pixel e poligoni squadrati, Ryo Hazuki è stata una delle persone più importanti che abbia mai incontrato in vita mia

Febbraio 2019: mio padre sta tornando a casa dall’ufficio in moto. E sarà Shenmue a salvare me.

Una macchina gli taglia la strada e non sopravvive all’impatto.
Io ho 23 anni e vengo catapultato di punto in bianco in una realtà diversa rispetto a quella a cui ero abituato. La mia testa si riempie delle solite domande – perché perdere un genitore a volte può essere esattamente come viene raccontato nei drammoni hollywoodiani – miste a rabbia e a quel cazzo di senso di colpa immotivato che ci auto-imponiamo per trovare un senso o una spiegazione a ciò che ci sbatte in faccia quanto siamo piccoli, impotenti e spesso insignificanti.
La sensazione peggiore, però, resta quel vuoto tremendo che ti si forma dentro in queste situazioni, e quel vuoto va contrastato. Va combattuto, altrimenti rischi di infilarti in un tunnel da cui uscire può diventare un’impresa quasi impossibile.

Io quel vuoto l’ho sentito eccome, e fa una paura tremenda.

Sentivo il bisogno estremo di sentirmi capito, e per quanto mi si fossero strette attorno tante persone che mi offrivano il loro aiuto continuavo a sentire il bisogno di qualcuno con cui confidarmi e parlare di ciò che sentivo nella maniera più libera possibile. Quella persona l’ho trovata il giorno in cui ho avviato per la prima volta Shenmue sulla mia PlayStation 4: si chiama Ryo Hazuki, ha diciott’anni e vive a Yokosuka, a sud di Tokyo, e anche se è un ammasso di pixel e poligoni squadrati, è stata una delle persone più importanti che abbia mai incontrato in vita mia.

Anche se è un ammasso di pixel e poligoni squadrati, Ryo Hazuki è stata una delle persone più importanti che abbia mai incontrato in vita mia

Shenmue non è solo uno dei videogiochi più visionari e importanti dell’intera storia del medium, non è solo uno dei videogiochi con la fanbase di appassionati tra le più fedeli e affiatate del mondo; Shenmue – e troppo spesso tendiamo a dimenticarcelo – racconta una storia, e quella storia ha per protagonista proprio Ryo, che come me ha perso il padre in giovane età e che come me è alla ricerca di risposte che possano aiutarlo a fare pace con se stesso. Spesso i videogiochi fanno di tutto per favorire l’immersione del giocatore nel mondo di gioco, trattando i propri personaggi come delle marionette su cui operare un transfer che proietti chi sta dall’altra parte dello schermo all’interno della storia.

Shenmue è diverso.

Shenmue ti permette di entrare in punta di piedi nella vita di Ryo, dei suoi amici, delle gang che si riuniscono al porto e dei comuni cittadini che affollano le strade di Yokosuka. Ciò che Yu Suzuki, creatore della saga, ti permette di fare è solo osservare e trarre delle conclusioni che possano aiutarti nella vita di tutti i giorni. Per settimane ho accompagnato Ryo per le strade della sua città natale, l’ho osservato correre da una parte all’altra di Dobuita Street, infilandosi in situazioni decisamente troppo pericolose per un ragazzo così giovane, ho sbirciato nella sua vita privata e nei suoi affetti e l’ho guidato mentre in sella al suo muletto cercava di guadagnarsi i soldi necessari per continuare la caccia all’assassino di suo padre.


Questo ha fatto nascere una strana forma di intimità tra me e lui…
….un’amicizia nata e sviluppatasi senza che io e lui ci scambiassimo neanche una parola.

Seduto sul divano, con il pad in mano, osservavo quel ragazzo pixeloso dare anima e corpo per trovare le risposte che cercava, e assieme a lui ho cominciato a fare dei passi avanti anche io, ritrovando la determinazione per tornare ad affrontare la mia vita di tutti i giorni e la serenità necessaria a lasciarmi alle spalle il vuoto che sentivo dentro, in qualche modo.

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Ancora oggi, quando le cose vanno male, immagino di sedermi in silenzio con Ryo al porto di Yokosuka, a guardare il giorno che diventa notte mentre i lampioni sfarfallano un po’ prima di accendersi.
È così che ho promesso a Ryo che lo avrei accompagnato ovunque, per quanto lunga possa essere l’attesa prima di scrivere la parola fine in fondo alla mia e alla sua storia.

Poi mi devo sentir dire che sono solo giochini.

E che ci rendono violenti, per giunta…

Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?