Si è conclusa da poco la Milan Games Week, e ci sarebbe da scrivere per giorni su quanto profondamente sbagliata sia stata questa esperienza milanese. E di quanti danni al substrato economico dell’intrattenimento potrebbero derivare da organizzazioni così approssimative. Mi presento giusto per dare un po’ di contesto a quello che sto per scrivere: mi chiamo Mario Cortese, sono fondatore e amministratore di un’azienda che da 12 anni si occupa di produzione e distribuzione nazionale e internazionale di giochi da tavolo e ho a che fare con organizzazioni fieristiche dal 2003, sia nazionali che internazionali.

Sono partito alla volta di questa Milan Games Week con le aspettative più basse dell'universo

Mi aspettavo una fiera a bassi investimenti third-party, abbastanza affollata, ma comunque logisticamente organizzata (visto il polofiere di Rho) e con qualche attrazione che mi facesse, non certo vivere una E3, ma neanche la Sagra della Polenta di S. Carmine sul Poggio (non cercatela, non esiste questa sagra).

In sintesi, viste le premesse, non mi sarei davvero aspettato di rimanere deluso.

LA MAPPA

La mappa che viene fornita dà già un’idea di come la fiera sia un mesh venuto male: suddivisa in 4 hall, ciascuna delle quali sotto-divisa nelle categorie merceologiche oggetto di categorizzazione. In sintesi potevi trovare “gaming”, “store”, “indie” etc. in tutte e 4 le hall, senza una reale tematizzazione degli spazi che quindi erano sulla carta tutti validi, nei fatti totalmente sbilanciati, creando poli di attrazione fortissimi da un lato e deserti imbarazzanti dall’altro. Per deserti intendo pezzi di corridoio vuoti riempiti con lo stand del Bimby, di Poste Italiane o dai venditori di Folletto (l’aspirapolvere, non miniature in FIMO).

Ora uno potrebbe dire: “Eh, ma così ti costringono a girare“. Risposta sbagliata: non si costringe a girare nessuno in una fiera. Si costruisce un percorso tematico che porti il flusso di persone a raggiungere le aree di maggior interesse focale in modo preciso, puntuale e ordinato. Altrimenti è il caos.

Difficile? Certo: come ogni cazzo di lavoro che va saputo fare e fatto bene. Il che però non significa impossibile. Significa che devi pagare chi sa farlo per farlo.

Sennò finisce, come è finita, ovvero che gli spazi fossero costruiti in modo totalmente casuale, quindi senza corridoi precisi e costanti, ma “spostati” in funzione delle aree espositive vendute, creando un disordine ambientale unico, labirintico a dir poco. Ed è un problema grosso perché rendi l’esposizione dei brand investitori irrilevante e alcune sovrapposizioni merceologiche e iconografiche davvero disturbanti (ad esempio vedere un wall-of-funko vicino ai panini bao vicino ad un publisher indie di fumetti senza soluzione di continuità).

Senza parlare poi del disorientamento evidente del pubblico che letteralmente girava in tondo senza sapere dove andare e del discreto danno di immagine alle aziende, a mio personalissimo avviso, che rischiavano di venir confuse con altre solo per sovraesposizione o sottoesposizione dei marchi o per totale assenza di un percorso chiaro.

Avessi fatto un investimento per esporre lì, mi avrebbe fatto incazzare non poco

Oltre a questo, ciliegina sulla torta, molti stand, tra cui il più affollato quello di GameStop avevano una circuitazione obbligatoria non indicata in mappa di cui potevi accorgerti o grazie ai sensi di ragno o perché uno dei buttafuori ti faceva notare che stavi entrando dall’uscita e non dall’entrata. E per farvi capire l’assurdo si entrava nello stand di GameStop non da dentro la hall dove si trovava GameStop, ma da un ingresso secondario laterale cui si accedeva uscendo nel piazzale destinato ad area ristoro. Fantastico.

COSA FARE A MILAN GAMES WEEK?

Questa però è la vera domanda da porsi una volta entrati dentro la Milan Games Week: cosa fare? Perché una fiera dovrebbe avere uno scopo preciso e, se non verticale, almeno chiaro, nitido e inconfutabile. Ed è troppo comodo ridurre, come molti stanno facendo in questi giorni a: “Vabbe, ma è prevalentemente un incontro tra fan e creator“. Non ci sto.

La fiera mi ha dato due promesse: Games Week e Cartoomics. E quindi mi aspetto che videogiochi, giochi e fumetti siano il centro focale – FOCALE, non perimetrale – della manifestazione


Per approfondire:
Ep. 101: Nuovo Gioco –

E per focale intendo che devo aver chiaro dove posso comprare, cosa posso comprare, quali sono le aziende che stanno esponendo, quali sono le esclusive, quali le anteprime, dove trovarle, dove sono le zone di maggior interesse o hype, qual è il calendario delle attività ed essere il più possibile guidato in questo percorso (cartellonistica, annunci, depliant, maxischermi, quel che vuoi).

Perché questa è responsabilità dell’organizzazione fiera, non del consumatore. Non dell’espositore. Dell’organizzazione fiera.

Così come, al tempo stesso, non puoi costringermi a consultare la mappa ogni 5 minuti, che sembra di essere nell’ennesimo open world inutile e non in 4 maledettissimi padiglioni di Rho fiera. A questo punto mettimi anche la bussola in HUD o almeno un NPC ad ogni angolo che mi indichi la direzione, perché ho 10 ore per visitare la fiera, non 90. Ripeto per i più distratti: faccio fiere da 20 anni. Non da ieri.

Sono abituato al casino, ma così è troppo. Così è offensivo

Inoltre, se proprio deve tramutarsi in una fiera incontro tra fan e creator, allora che le aree predisposte siano centrali e non schiacciate, visivamente e fonicamente, ad esempio, da Lino Sonego in modalità “HITMANIA DANCE 90” con volumi a palla che hanno reso il 75% delle interviste inaudibili nel senso letterale del termine. Perché è quello che è successo: volevo ascoltare la Q&A di Fossetti e Mottura su FinalRound e Round2Twitch e mentre venivano fatte le domande agli intervist *TUNZ TUNZ TUNZ PATA TUNZ TUNZ TUNZ* …no cazzo, NO!

Stendo invece un velo pietoso sull’incontro InnTale in Hollywood stage che nel bel mezzo della loro attività si son visti partire nei denti la sfilatona completa della 501st Legion di Star Wars con tanto di marcia imperiale che pompava nelle casse di tutta la hall, imbarazzando InnTale, il pubblico e i 4 poveri tecnici audio che cercavano di regolare inutilmente i loro mixer per accampare una soluzione impossibile.

Ora uno può pensare: “Stronzi quelli di 501st“. Sbagliato: la marcia imperiale arrivava dalle casse del polo fiera, quindi evidentemente concordata con l’organizzazione. Un sincronismo perfetto, che però scontenta tutti.

BASTA NON ANDARCI, NO?

Questa frase è antica e altrettanto insopportabile. Certo: probabilmente molte persone non ci andranno più. Probabilmente nuove generazioni alla loro prima fiera l’hanno goduta perché non hanno facilmente la possibilità di visitarne altre in giro per il mondo e capire la differenza profonda tra fatto bene e fatto male. La verità però è che la fiera è prevalentemente un’attività di marketing e di comunicazione, che dovrebbe svolgere funzioni di potenziamento per un mercato.

E quando una fiera comunica male e fa un pessimo marketing consegna un’eredità pesante alla nazione in cui si svolge: riduzione significativa di attrazione di capitale. Cioè, in poche parole, spinge ad investire meno nel nostro paese e questo ha un effetto a catena anche su altri fattori come la crescita economica del comportato videoludico nazionale, gli investimenti per ricerca e sviluppo, l’attrazione di multinazionali che aprano sedi e game studio in modo permanente in Italia con un impatto conseguente e inevitabile sulle carriere professionali. Tralascio poi l’effetto negativo che si può avere su aspetti cross/trans-mediali e sulle capacità di sviluppo dei profili indipendenti.

Chiaro, tutto questo dipende da molti fattori: non certo solo dalla Milan Games Week, cui non possiamo tributare tutte le colpe. Dipende ad esempio dalla tassazione, dalle politiche sul lavoro, dai servizi della pubblica amministrazione, dalla burocrazia che pesano come macigni sull’appetibilità e lo sviluppo del nostro paese. Lo sappiamo.

Ma dipende anche dalla percezione che il resto del mondo ha dell’Italia e questa percezione passa, ve lo dice chi nelle fiere investe svariate centinaia di migliaia d’euro l’anno, dalla soddisfazione emotiva, economica e comunicativa da parte di pubblico ed investitori.

Fare una fiera male, ha sempre delle conseguenze. E io avrei voluto che le aspettative rimanessero basse, ma pienamente soddisfatte

Avrei voglia di dire di più. Avrei voglia di spiegare meglio quanto pericolose siano queste operazioni e quanto servirebbero davvero delle alternative sensate. Così ho sfruttato questo spazio concesso in crowdsourcing da Gameromancer, ma ci vorrebbe una live di due ore. O forse ci vorrebbe solo un pietoso silenzio.

Le fiere fatte male però hanno sempre conseguenze. Ignorarle è peggio.
Ora decidete voi.

Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?