Ovvero io che perdo tempo a scrivere anziché svuotare i pacchi

Ho fatto un altro trasloco. È un sabato grigio e a tratti piovoso, sono infreddolito, un po’ inzuppato e già stanco, anche se siamo “solo” a ora di pranzo. Stamattina ho affrontato un lungo viaggio, a ‘sto giro ho traslocato da una città a un’altra, distanti più di 100 chilometri. Caricare il furgone, andargli dietro in moto (mica la potevo lasciare là), beccare pioggia in autostrada, scaricare il furgone. Ora sono qui, in questo spazio ancora un po’ estraneo, con un bel po’ di scatole da svuotare e non così tanto spazio dove posizionare la roba. A metà tra l’entusiasmo per i cambiamenti e la malinconia per i pezzi di vita che ho lasciato lì.

Un gioco atipico, che fai fatica a spiegare a qualcuno non abbastanza consapevole del mezzo

È passato quasi un anno da quando è uscito Unpacking. Un gioco atipico, una di quelle robe che fai fatica a spiegare a qualcuno non abbastanza consapevole del mezzo. Però anche molto particolare, una roba che racconta con l’interazione, che fa riflettere, tramite questo svuotare le scatole e posizionare gli oggetti. Sulle fasi della vita, sul tempo che passa, sulle relazioni.

Forse però c’è dell’altro. In realtà credo che giocando Unpacking ci siamo concentrati solo sul gesto attivo, sul senso ampio del cambiamento che un trasloco comporta, che i limiti di spazio di una nuova casa comportano. In questi giorni in cui mi sono trovato a inscatolare la mia vita e ora mi appresto a disinscatolarla, penso che forse il messaggio era (anche) un altro. Il punto in realtà sono proprio gli oggetti. Ci hanno insegnato che i beni materiali non importano, che non è con quelli che si arriva alla felicità. Potrei dire che è una balla, che anche dalle cose che abbiamo – o non abbiamo – deriva il nostro benessere in questa società schifosamente capitalista, ma non serve. Il fatto è che le nostre cose ci definiscono, in un certo senso.

Persone fatte di ricordi fatti di cose

Chi sono io se non l’insieme di ricordi che possiedo e che gli altri possiedono di me? E quanti ricordi associo agli oggetti? Quanti a quel maglione verde che ormai non metto più tanto spesso, vecchio e un po’ sformato, ma che porto comunque a casa nuova? Lo indossavo in una sera di fine estate, andando in un paesino di montagna a sentire una cover band di De André con una persona speciale. Facendo i pacchi ho pensato ai tanti vestiti che negli anni hanno segnato i miei ricordi, come quella felpa strana col cappuccio enorme che mettevo spesso quando viaggiavo in treno alle sei di mattina; usavo quel cappuccio per isolarmi dai rumori e dalle luci di quei vagoni e dormire qualche altra manciata di minuti.

Il punto non sono i vestiti, ma le volte in cui ricordo di averli indossati in momenti particolari della mia vita. Memorie inconsciamente avvinghiate a questo o quell’altro oggetto.

Narrazioni videoludiche Un anno fa scrivevo di Unpacking e del suo modo unico di raccontare

Ricordo un giorno felice durante il primo viaggio fatto assieme a una persona che adesso è al mio fianco da quattro anni: mi ricordo com’era vestita lei e com’ero vestito io. Ricordo quella abat jour da piccolo sulla mia scrivania, che accesa alla sera dava fastidio a mio fratello mentre provava a dormire lì di fianco. Nel tempo è finita prima sul mio comodino, nella casa dei miei, dove ormai non vivo più da cinque anni, e ora sono cinque anni che mi segue nei miei traslochi, mezza scassata. Mi ha seguito anche in questo.

Ricordo il vecchio casco che usavo da ragazzino, sul mio scooter 50, che cercavo in tutti i modi di far apparire più piccolo per non sembrare Neo Cortex. Nel tempo l’ho usato e maltrattato così tanto che si è praticamente sfaldato, chissà se esiste ancora da qualche parte a casa dei miei. Penso al casco che uso adesso, già il secondo cambiato da quando ho preso la moto. Il primo ora lo presto agli amici quando devo dare un passaggio. Quanti viaggi ho già fatto guidando con questa zavorra al braccio, mentre vado a prendere qualcuno, in procinto di incidere un ricordo di una serata passata assieme? Giusto due sere fa, con già quasi tutto inscatolato, l’ho dovuto ritirare fuori dal pacco dove era già pronto al trasloco per andare a prendere un amico, per andare a mangiare un panino, parlare dei nostri problemi e preoccupazioni.

Ricordo la vecchia scrivania di quando ero bambino, in questo legno color avorio, prima che nascesse mio fratello, prima del letto a castello. Ricordo addirittura i gommini trasparenti che mia madre mise sugli spigoli, per evitare che mi facessi male. Da un po’ di anni quella scrivania sta in una stanzetta che lei stessa usa come ufficio. Durante la pandemia, in quei mesi in cui sono tornato a casa, ricordo di averla vista tutti i giorni fare lezioni in DAD agli studenti da dietro quella scrivania, a cercare di catturare l’attenzione di quei ragazzini.

Quanto di noi raccontano i vecchi quaderni di appunti?

Mia madre che assieme a mio padre di recente ha dovuto svuotare la cantina, dopo trent’anni, e ha buttato via tante cose. Lui invece è restio a buttar via la roba, è un accumulatore. Lei ha faticato, ma alla fine è riuscita a convincerlo a sbarazzare alcune cose, una vecchia pianola, degli appunti universitari. Pensandoci ho riflettuto su quanto di me raccontano i miei appunti universitari. Delle mie giornate di studio, di stress, di noia. Dei miei disegni fatti distrattamente ai bordi delle pagine. Probabilmente non li avrebbe sfogliati mai più quegli appunti. Ma serve davvero sfogliarli per ricordare? O stavano lì più come reliquia? Come un pezzo di noi che ci siamo lasciati alle spalle, ma che vogliamo continuare a tenere in memoria.

Traslocare è un casino. Uno stress, una gran confusione, una grande fatica. Però è anche un momento in cui si tirano le somme, vedendo passare le nostre cose, la nostra vita, prima dentro alle scatole, poi fuori. Spesso diciamo che la lunghezza dei videogiochi anziché in tempo giocato andrebbe misurata in quanto tempo ti rimangono in testa, a maturare idee. Unpacking dura forse tre o quattro ore pad alla mano, ma dopo un anno ce l’ho ancora qua dentro, che mentre penso ai pacchi da svuotare mi fa riflettere sull’importanza degli oggetti che ci stanno dentro.

Non possiamo slegare i ricordi dalle cose cui li associamo. Allo stesso modo in cui non possiamo slegare chi siamo da ciò che abbiamo, e ci portiamo dietro a ogni trasloco. Anche quando non ci servono.

Anche quando vogliamo tenerli solo “per ricordo”.