Rece Giocàtevi NieR: Automata, ché di empatia non è mai morto nessuno

Quando inizi un gioco con buone aspettative e ne esci profondamente cambiato, sai che quel gioco ha fatto il suo lavoro anche meglio del previsto. Qualunque giocatore, qualunque amante delle storie, qualunque essere umano dovrebbe giocare NieR: Automata almeno una volta nella vita. E imparare qualcosa, tanto per cambiare.
Non c’è nulla di male a sentire il peso del mondo sulle spalle.

Due giorni fa decido di avvicinarmi al boss finale di Gameromancer, phatejoker, dicendogli che non me ne fregava un cazzo se NieR: Automata era uscito due anni fa; dovevo scrivere qualcosa. E lui, sottomesso alla mia volontà, ha accettato. E madonna se sono contento che lo abbia fatto. Perché NieR: Automata è un capolavoro, non ci sono cazzi che tengano. E adesso lo farò capire anche a voi.
Facciamo un gioco. Aprite questa canzone e tenetela in sottofondo per un po’ mentre leggete. Ringraziatemi dopo su Telegram, se volete.

City Ruins

Solo uno stronzo arriverebbe alla fine di NieR senza tenere il cuore in mano. Il problema è che questo mondo è pieno di stronzi.

E il fatto che questo mondo sia pieno di stronzi è praticamente alla base di tutta la narrativa di NieR: Automata. Apocalisse, robot assassini, piani segreti, cazzi e mazzi e razzi che ci portano sempre alla stessa conclusione: l’umanità fa schifo, e fa schifo perché tutti noi ne facciamo parte. Ma almeno possiamo provare a rendere il mondo un posto migliore – magari non rischiando l’estinzione prima che una minaccia aliena ci distrugga il pianeta, eh?

Siamo in mezzo alle rovine di una città. Malinconia e polvere guidano i nostri passi, mentre crivelliamo una biomacchina o un’altra. Perché lo facciamo? Perché è la nostra missione. Siamo programmati per farlo, siamo programmati per distruggere il nemico.

La prossima volta che elogiate Candy Crush, pensate a NieR.

Il problema è che siamo stati programmati da umani. E se, nel paragrafo qui sopra, sostituiamo “biomacchina” con “soldato”, il risultato è più o meno lo stesso. Perché NieR parla anche della guerra, tra le altre cose, ma mostra che nella battaglia può nascere anche empatia. Un po’ come The Boss ci ha insegnato tempo fa… Solo che è un po’ più complesso farlo con delle macchine e degli androidi umanizzati. È un po’ più complesso farlo con le metafore.

Eppure NieR ci riesce. Inizia come un gioco di azione abbastanza standard, post-apocalittico come molti altri, macchine contro macchine, e tanto sappiamo che le macchine intelligenti vinceranno su quelle stupide. Ma quella merdaccia di Yoko Taro vuole farci sapere che non siamo noi a decidere quali siano le macchine intelligenti e quali siano quelle stupide. Perché entrambe sono in grado di provare empatia – anche se “le emozioni sono proibite” e “le macchine non possono avere una famiglia.” Entrambe meritano di vivere allo stesso modo.

Fermate il walkman adesso, se la canzone non è ancora finita. C’è un’altra cosa che dovete imparare. E se questo pezzo non vi mette i brividi a prescindere da quello che sapete di NieR, lasciatevelo dire, un po’ stronzi lo siete.

A Beautiful Song

Colonna SonoraLa colonna sonora di NieR: Automata è stata composta da Keiichi Okabe. E ogni santissimo brano è da brividi ai peli del culo.

Siete in un teatro. Volete solo essere bellissimi, bravi e capaci per chiunque vi stia guardando dal buio di fronte al palco. Danzate, e cantate, e recitate, inspirate l’odore del legno e lasciate che vi inebri di adrenalina. Vi siete fatti belli per quella persona speciale tra il pubblico, che vi sta ammirando al meglio di voi.

Le luci si accendono. Il teatro è pieno; si svuota immediatamente ai vostri occhi, quando notate che l’unico posto che conta è vuoto. Quella persona speciale, che non vi ha mai degnato neanche di uno sguardo, non c’è. E voi avete comunque fatto di tutto per lei.

Quella persona speciale, che non vi ha mai degnato neanche di uno sguardo, non c’è. E voi avete comunque fatto di tutto per lei.

Qualcuno, in questa breve storia, riconoscerà qualcosa di familiare che ha visto nel gioco. Altri riconosceranno un’esperienza personale, perché ci siamo passati tutti: a volte quella persona semplicemente non ci amerà mai. E questo ci porta rabbia; ogni tanto, ci porta alla follia.

Tutto quello in cui crediamo può portarci alla follia. Che sia un credo, un dogma, una dannatissima cotta per qualcuno, la follia è sempre dietro l’angolo, quando ciò in cui crediamo diventa un’ossessione. E può far del male a chi ci sta intorno, anche se non lo merita.

Perché vi ho fatto questa predica dall’alto di stocazzo? Perché NieR è anche questo. È empatia, è follia, è rabbia, è bellezza e delusione, è tristezza e rassegnazione. È anche amore; un amore per il videogioco e per le storie che ho visto raramente, in decenni da videogiocatore. E un’esperienza che sono contento di aver provato adesso, da giovane adulto.

Prossimo brano. Perché c’è luce anche nell’oscurità.

Pascal’s Hope

Inizia tutto che atterrate in un luogo pieno di vecchi nemici folli e impazziti, e capite subito che qualcosa non va. Non tutti loro sono folli; alcuni stanno sviluppando qualcosa, un barlume di consapevolezza, un barlume di amore. Imitano l’unico modello che hanno avuto a disposizione per anni: gli umani. E questo vi tocca il cuore.

NieR: Automata
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Pascal è un personaggio secondario. Assolutamente secondario. Non porta quasi mai avanti la trama principale, resta concentrato nella sua storia, a volte è quasi inutile. Ma è comunque uno dei personaggi migliori del gioco, ed è una sensazione facile da provare appena lo si incontra per la prima volta.

Nel caos, lui ha trovato il suo mondo. Ha trovato il suo scopo. Ha trovato la sua luce nel buio, mentre tutto il mondo intorno a lui combatte. Vuole solo essere lasciato in pace. E noi, poveri giocatori stronzi, faremmo di tutto per aiutarlo a raggiungere quella pace.

Pascal è uno dei personaggi migliori del gioco, in un gioco in cui è difficile trovare personaggi mal scritti a prescindere. Tutti i maggiori personaggi secondari hanno una loro storia, ed è sempre, categoricamente, una storia personale e bellissima. Come ho detto, NieR inizia come un normalissimo gioco di azione, un’ode al videogioco sui generis; si evolve in un’esperienza profonda e da bestemmie di apprezzamento, e arriva alla fine che ti ha insegnato la cazzo di empatia a modo suo.

Perché tutto quello che fate è seguire qualche androide stronzo che di empatia ne ha poca di suo. E vi sentite dei bambini, bambini che devono imparare a crescere e ad amare, e poi imparate a crescere e ad amare con loro. Seguite il loro viaggio in un mondo estraneo, finché non scoprite che, sotto sotto, un po’ stronzi lo siete anche voi – ma c’è sempre speranza.

Ormai sapete la formula. Ultimo brano.

Il Peso del Mondo

E poi finisce. Finisce una volta, e ricominci. Finisce due volte, e ricominci, e scopri un gioco nuovo. Finisce tre volte, e ti rigiochi il terzo finale per vedere cosa è successo a voi sapete chi. E poi pensi che finisca davvero, ma ti sorprende ancora.

Finisci, e ne vuoi ancora.

Cambia genere videoludico per l’ennesima volta, adottando il twin-stick shooter delle manomissioni di 9S per un’ultima sequenza, più difficile delle altre. A quel punto, tu povero giocatore stronzo dovresti aver capito l’antifona; a quel punto, dovresti aver imparato l’empatia. Ma se così non fosse, facciamo che il gioco te la rispiega di nuovo.

Muori. Muori. Muori ancora. Non ti arrendi, perché i giocatori non si arrendono mai; l’umanità in generale, non si arrende mai. Siamo fatti così. Ma poi muori un’altra volta, e i pod ti collegano da qualche parte, e qualcuno arriva a dimostrarti amore. Un perfetto sconosciuto, in un Effetto Journey non indifferente. Non devi più portare il peso del mondo sulle tue spalle da solo. Non sei più da solo, in realtà non lo sei mai stato. Nessuno di noi lo è.

E poi, NieR: Automata finisce davvero. In un modo che non ti aspetti: chiedendoti di compiere un ultimo gesto, confermandolo molte volte, sapendo che il tuo sacrificio come giocatore salverà l'esperienza di qualcun altro.

Premi “Sì” così tante volte che ti stupisci di te stesso. Lo fai e basta, perché, sì, cazzo se questa esperienza ti ha lasciato qualcosa. Cazzo se sei una brava persona. Altrimenti a cosa cazzo è servito tutto questo? A cosa è servito se non hai imparato nulla?

E lo fai. Non sai perché, è uno sconosciuto, potresti persino odiarlo. Te lo dice il gioco stesso. Ma lo fai. Lasci un incoraggiamento per chi ha sofferto, e lo fai.

E NieR: Automata finisce davvero. Per la quarta o quinta volta, vedi dei titoli di coda. Ti lasciano un cuore in lacrime, occhi incrinati; e non sai se vorrai mai più rivedere quei titoli sullo schermo.

Pensavi che NieR: Automata ti avesse insegnato l’empatia, dopo una o due run? No, testa di cazzo. Arriva ai veri titoli di coda, fai quella scelta, falla come l’ho fatta io. Solo allora avrai veramente imparato. Solo allora ripenserai a tutto quello che è stato, a 2B, 9S, A2, Devola, Popola, Anemone, Pascal, i “bambini,” persino uno stupido alce che hai cavalcato di tanto in tanto, o uno stupido stronzo che hai incontrato nel deserto per caso. Solo allora ripensi a tutto.

Solo allora il tuo viaggio è veramente concluso. Hai imparato l’empatia. E forse hai davvero salvato il viaggio di qualcun altro.

E, ti chiedi, chissà. Magari saranno proprio i videogiocatori a salvare il mondo dal nostro stesso schifo.

quanto spendere
45 /30€
bignami per pigri
Quando inizi un gioco con buone aspettative e ne esci profondamente cambiato, sai che quel gioco ha fatto il suo lavoro anche meglio del previsto. Qualunque giocatore, qualunque amante delle storie, qualunque essere umano dovrebbe giocare NieR: Automata almeno una volta nella vita. E imparare qualcosa, tanto per cambiare.
top&flop
> *Bestemmia di apprezzamento*
> *Imprecazione di apprezzamento*
> *Insulto amichevole a Yoko Taro*

> Tecnicamente un po' scarso... Ma chisseneincula?

Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?