Ho riflettuto molto su come impostare questo pezzo. Tantissimo. Mi sono letteralmente scervellato un sacco di tempo per trovare un equilibrio, cosicché non avesse né il sapore della marchetta né il gusto acido e democristiano del giudizio esterno. Poi, a un certo punto, ho smesso. Per la precisione, da quando mi sono detto: ma a me, precisamente, che cazzo me ne frega?
Intendiamoci, e intendiamoci bene. Quando si scrive qualcosa, bisogna identificare degli interlocutori: è un’operazione fondamentale, connaturata a ogni riflessione che non voglia assumere i connotati dell’annusare, rigorosamente da soli, le proprie scorregge. E allora, a chi mi sto rivolgendo? Al terzo, di una famiglia di tre. Composta da chi ha già deciso che Gameromancer è una merda fotonica – e il tentativo di fargli cambiare idea sarebbe inutile, qualsiasi cosa io possa scrivere; da chi è già dentro Gameromancer, o meglio ne ha compreso la linea – e allora sarebbe addirittura superfluo; da chi, invece, non ha capito un cazzo di Gameromancer. Eccolo. Trovato. Tanto vale evitare pesi e contrappesi: basta dire la verità, come viene. E se non va bene pazienza, no?
Se non riesci a vedere la sostanza sotto ettolitri di sborra (la parola, non letteralmente il liquido seminale), passa ad altro. Internet è vasto, ci sono un sacco di alternative. Però se non riesci a capire che critica alla ripetitività di fondo del lavoro d’ufficio sia Post Office, nascosta proprio lì tra le scopate di Chinaski, il problema è anche un po’ tuo.
La monotonia, un lavoro fisso che non portava a niente, anime che cercavano altre anime per sfuggire ad imbarazzanti silenzi ed una città senza stimoli che cercava di camuffare la noia dietro falsi sorrisi, musica assordante e belle gambe inavvicinabili. Niente di buono. Ma era incredibile come la gente riusciva ad adattarsi
Charles Bukowski, Post Office, 1971
No, non devi ridere. Non ancora almeno, mica mi sono abbassato le mutande? Non ho scritto che Iacullo, Sorichetti, Alteri, Scibetta e compagnia cantante siano Charles Bukowski. Sto tentando di spiegarti che, a volte, non necessariamente la forma non assorbe il contenuto. Che, al contrario, se oggi tutto è reazione, magari l’unica libertà realmente rivoluzionaria che ci è rimasta è quella di spaccare il contenitore. Prendi quella bottiglia, falla a pezzi. Dillo che quel gioco lì, si proprio quello lì che piace a tutti, in realtà fa schifo. Ti fermi qui? Sei un odiatore. Argomenti il perché? Sei Gameromancer. L’hai capita la differenza, adesso?
A questo punto, o caro lettore (sì nel frattempo è diventata una lettera) potrai chiedere se io sia d’accordo con questo modus operandi.
Sono troppo affezionato alla misura per assumermi questo fardello; eppure sono contento che esista chi sa approcciarsi a ciò che mi piace in maniera esattamente speculare alla mia. Quindi sì, sono d’accordo. Non dobbiamo dire tutti quanti le stesse cose allo stesso modo, e nemmeno pretendere che lo facciano gli altri. Ancora meno, dal mio punto di vista, è giusto ridurre Gameromancer al solo turpiloquio, restituendo un’immagine sbagliata di questo progetto.
Per capirci devo aprire una parentesi. Parlare di giochini, in Italia, è difficile. Attenzione, non mi riferisco al diventare influencer raccogliendo un seguito e facendo soldi a palate; mi riferisco all’essere trattato come pari da chi, di giochini, discuteva da prima di te. Di essere accolto in una comunità, di creare legami e reti. Del non sentirti straniero. Ecco, Gameromancer questo lo fa: e lo fa in maniera tanto forte quanto lo sono le critiche – spesso pure esagerate eh, chi lo mette in dubbio – che muove agli attori mainstream di questo ambiente.
Allora inizi a comprendere che la foga spesso viene dalla passione: passione nei confronti di un un videogioco diverso, progressista, inclusivo, verso cui tendere. Anzi, direi un ambiente videoludico con questi connotati. Non tossico, appellativo che, invece, viene spesso rivolto proprio a Gameromancer e sbagliando clamorosamente. Puoi essere un signor nessuno ma, se hai delle opinioni strutturate, Gameromancer ti ascolta. Poi la perfezione non appartiene a questo mondo.
Si fa un gran parlare di sostenibilità. Magari se, per una volta, provassimo ad allargare il quadro, riusciremmo a ottenere delle interpretazioni diverse. Forse non è una questione di sostenibilità, ma di dignità. Una volta era un concetto fondamentale di sinistra: la moneta e basta, di per sé, è condizione necessaria ma non sufficiente. Dipende a quali attività quel denaro si aggancia, alla soddisfazione personale anche del lavoratore a cui magari non piace proprio scrivere di cosplayer.
E allora perché non portare avanti le proprie idee, anche se non hai un ritorno diretto? Certo, si potrebbe discutere del fatto che scrivere di videogiochi senza essere stipendiati lo si possa fare se si è dei privilegiati, se non serve per mangiare; beh, questo è fattuale. Com’è fattuale, però, che da alcune utopie nascano poi delle realtà capaci di superare il break even, che se non ci provi non lo sai, che magari nel futuro prossimo il paradigma lo cambiamo. Oh ma quando abbiamo smesso di lottare e accettare il mondo così com’è?
Potremmo discutere per ore, ma ormai penso sia chiaro come non sia un caso che questa realtà sia vicina ad altre ben più moderate nell’esprimersi. A un certo punto, riconosci la stessa radice: il rifiuto del pasto precotto offerto da parte del settore e il rigetto di alcune dinamiche da salottino, le quali tendono a sfociare nel gatekeeping e nella sordità selettiva. Gameromancer non è l’antidoto e non sarà mai il sistema immunitario del videogioco italiano, non è un cazzo di controllore: ma un monito, quello sì. Sempre. E vi pare poco?
Vabbè basta, ci siamo capiti. Se hai dei dubbi su Gameromancer, come li avevo io, dagli una chance. Perché io, ‘sto cazzo di Gameromancer, pensavo fosse veramente una schifezza; poi ho capito. Ora, tu puoi credere che ho scritto tutto questo poco perché ci lecchiamo il culo a vicenda, oppure puoi starmi a sentire e decidere di liberarti di un pregiudizio. Poi oh: se non ti piace, non ti piace. Io ci ho provato.
Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?