Gaming disorder, isolamento sociale volontario e l’ombra oscura delle loot box: eh si, serve proprio una sana educazione al videogioco.
Minchia, così drastici? Non si tratta di essere o meno drastici ma l’evidenza del problema (anche se troppo demonizzato) è ormai di dominio pubblico e qualcuno si sta già muovendo in un verso pericoloso, vedi la Cina con il suo famoso “disco orario videoludico”.
Il videogioco, per quanto divertente e coinvolgente, nasconde dei pericolosi lati oscuri che, se assecondati, possono portare a situazioni di dipendenza. Accorgersi non è facile. Ammetterlo tantomeno. I genitori, in tutto questo restano a guardare perché indifesi di fronte a un mondo nuovo che non conoscono.
L’Italia che ci crede, quella che vuole farsi sentire, quella che vuole cambiare qualcosa ha lanciato la sua scialuppa di salvataggio e noi ci siamo saltati a bordo per un bel warm-up. Sotto la Mole Antonelliana torinese nasce Edugamers for kids 4.0, un’iniziativa che invece di catalogare e/o prevenire (come fanno i signori dell’OMS), si preocuppa del capire e comprendere. Il fulcro del progetto è la figura dell’Edugamer, un prodotto nato dalla scienza videoludica applicata nel campo dell’educazione, metà gamer e metà educatore. Lui ha una missione molto difficile: educare ai videogiochi e attraverso loro comprendere comportamenti e tradurli ai genitori. È un’interfaccia perfetta tra il medium e chi lo usufruisce e guida i gamer nell’uso consapevole ed etico dei videogiochi.
L’iniziativa è nobile e arriva in un momento particolare per il mondo videoludico, diventato il bersaglio perfetto per ogni sorta di frecciatina. Come capro espiatorio è perfetto. Ovviamente noi non ci stiamo. Noi della ribellione questo non lo accettiamo. Noi, nativi o migranti digitali questo in questo mare di merda non ci sprofondiamo. Noi resistiamo, e voi che fate?