DLC #12: Final Fantasy VII, tutta la Storia
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Final Fantasy 7 è il miglior RPG della storia?

L’importanza di Final Fantasy 7 per la storia dei videogiochi è fuori discussione. E già questo dovrebbe chiudere qualunque tipo di polemica, nei confronti del remake arrivato sugli scaffali (circa) in questi giorni. Che poi sia effettivamente il miglior RPG della storia o no, è poco importante: Final Fantasy 7 ha scritto la storia, e senza di lui il mercato sarebbe diverso. E senza la prima PlayStation non sarebbe stato tecnologicamente possibile sviluppare un gioco del genere, cosa che è un po’ un tema ricorrente dell’epoca. E spiega perché di RPG su Nintendo 64 ce ne siano pochissimi.

Miglior RPG della storia o no, Final Fantasy 7 è un gamechanger

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Retrocensione Se non hai cazzi di ascoltare il podcast, ma ti interessa dell’importanza storica di Final Fantasy VII, ne hanno parlato anche su Ilovevg.it

Un gamechanger a cui dobbiamo quantomeno altri due progetti, rimanendo in Squaresoft (che sarebbe poi diventata metà di Square Enix). Xenogears nasce da alcune delle idee più estreme pensate in origine per Final Fantasy 7. Tematiche come la guerra e la violenza – anche sessuale – nell’idea originale erano più accentuate, ma non per questo spariranno del tutto una volta deciso di spostarle in Xenogears. Ad un certo punto, se ci pensate, Hojo suggerisce un accoppiamento interspecie tra Red XIII e Aerith. Per un motivo crudoottenere più cavie per i suoi esperimenti e preservare il DNA di tutte e due le razze. Verrebbe quasi da pensare che il vero villain di Final Fantasy VII è lui, Sephiroth alla fin fine vuole “solo” distruggere il mondo.

È l’eco di Xenogears che parla attraverso Final Fantasy 7, ed è uno dei motivi per cui il gioco ha fatto la storia.

Una tematica così pesante e delicata è qualcosa di cui difficilmente si parla in un videogioco, specie in un prodotto mainstream. È una tematica d’autore, ecco. E il fatto che Square Enix stia per riproporre un discorso di questo tipo, con delle tecnologie che non potranno fare altro che rendere il tutto più esplicito, è un tassello di fondamentale importanza per la storia dei videogiochi: farla passare di nuovo da Final Fantasy 7 è quasi un atto dovuto. Anche Parasite Eve nasce da Final Fantasy 7, da quella versione di Final Fantasy 7 che doveva essere ambientata a New York nel 1999. Sarebbe stato il primo capitolo della serie a respirare nel nostro mondo. Un setting non più al massimo liberamente ispirato ad alcune città (come Final Fantasy XV) ma esplicitamente parte del nostro universo.

Ma anche rinunciando a tutti questi eccessi Final Fantasy VII è un capitolo di rottura col resto della serie

Non solo per motivazioni tecnologiche, che lo vedono essere il primo Final Fantasy fuori dall’ecosistema Nintendo. E il primo capitolo non più su cartuccia o tridimensionale. Final Fantasy VI per qualche verso aveva già anticipato questo stacco, ma Final Fantasy 7 rompe del tutto la tradizione dell’RPG legata al fantasy medievaleggiante. Si inizia a Midgar, Cyberpunk quanto lo era la Los Angeles di Blade Runner o la Chiba City di Neuromante. E gli elementi cardine del cyberpunk ci sono tutti, Final Fantasy 7 ne è perfetta trasposizione nei videogiochi, non ce lo ricordiamo per questo perché semplicemente ha avuto risvolti ancor più eclatanti rispetto all’essere il miglior esempio di cyberpunk ludico.

La Shinra è la Zaibatsu con le mani in pasta ovunque, Midgar stessa ha una paletta cromatica e un melting pot di classi sociali che rimanda alle prime pagine di Neuromante. Come fa anche la caratterizzazione di Cloud, non un eroe senza macchia che vuol salvare il mondo, ma un anti-eroe li fondamentalmente per guadagno personale. Le stesse motivazioni che avrebbe un cowboy della console come Chase. È per certi versi un ritorno alle origini, per l’RPG: siamo abituati a pensarlo come Made in Japan, ma il genere nasce in realtà in America su PC. E con Final Fantasy VII ci torna, perché anche il Cyberpunk pur limonando duro col il Giappone e l’oriente in genere è una creatura al 100% americana.

Un sogno lucido che gioca con gli specchi di paure e fascinazioni tra due immaginari molto distanti, ecco cos'è Final Fantasy 7

Una visione nata dalle paure dell’America nei confronti del Sol Levante, che sembrava essere sul punto di conquistare il mondo con le sue tecnologie all’avanguardia, che videogiochi e anime ci propinavano meglio di qualunque propaganda. Ecco, in un immaginario di questo tipo, il fatto che Final Fantasy VII fosse così pesantemente a Stelle e Strisce – e momenti del genere, in-game, ce ne sono diversi – è un punto di rottura, un Nexus per la storia dell’RPG. Final Fantasy 7 non sarà ambientato a New York a Natale, come Parasite Eve, ma il suo immaginario è nostro. È qualcosa che parla di noi, che possiamo capire, è il grande successo commerciale di Final Fantasy 7 dipende anche da questo. Al di là dell’essere un colossal uscito su PlayStation 1.

Di più, è qualcosa che volevamo sentirci raccontare. Perché i videogiochi non lo facevano, e anche altri media snobbavano diversi di questi aspetti. Sono gli anni dove i videogiochi stavano cercando di smettere di essere giocattoli per diventare intrattenimento. Di conseguenza, le tematiche diventavano più adulte, perché era necessario andare oltre. Final Fantasy 7 lo fa, parlando di terrorismo, di danni collaterali, mostrando dei protagonisti moralmente controversi e che in ogni caso compiono azioni moralmente controverse.

Barret è palesemente Greta.

È probabilmente anche un primo proto-esemplare di linguaggio videoludico. Perché ok, la storia di Final Fantasy 7 è matura e fino a quel momento tra le migliori per tematiche nell’industria, ma ci si gioca anche lato gameplay. Gli eventi si riflettono sull’esperienza del giocatore, che viene destabilizzata e sconvolta in almeno un paio di momenti, avendo conseguenze terribili sul party e sulla sua gestione.

Final Fantasy VII parla la lingua dei videogiochi,
forse per una delle prime volte nella loro storia…

Ne vuoi ancora? Nessun problema...