Ante Kojima ci ha pisciato in faccia e c’è piaciuto un sacco

Volevamo il gameplay, volevamo la trama, e Kojima ci ha pisciato in faccia in mondovisione. E c'è piaciuto un sacco.

Un uomo sale sul palco della Opening Night Live della Gamescom, pishhh.

Oppure, per dirla senza fare la cover della barzelletta più triste della storia, Hideo Kojima riceve l’incarico di spingere (mediaticamente parlando) la Gamescom 2019 con un trailer di Death Stranding e coglie la palla al balzo per farci l’ennesima supercazzola. Solo che questa volta lo scappellamento a destra avviene davvero a schermo, e Norman Reedus si cimenta in una minzione in mondovisione. Qua su Gameromancer però non abbiamo tempo da perdere con fregnacce inutili tipo “fare informazione” o “scrivere bene”, per cui vi propongo un accordo: vi metto il link alla notizia su I Love Videogames e voi fate finta di cliccarci, così io non perdo tempo a scrivere e voi non ne perdete a leggere. Tanto se siete qua o siete sufficientemente nerd da aver già visto cos’è successo a Colonia o avete degli amici sufficientemente nerd da aver condiviso tutto su Facebook salvaguardando la vostra vita sociale. Un minuto di silenzio per questi eroi silenziosi


Per approfondire:
Non ci meritiamo un cazzo
Ma aspetta un attimo, stai davvero scrivendo un’anteprima senza aver provato il gioco? Che, siamo su Multiplayer.it o su EveryEye? No, caro il mio coglionazzo (con rispetto, eh) che sta leggendo i miei pensieri davanti a un monitor con un’espressione da primate. Quella che stai leggendo non è un’anteprima, ma un’ante. È lo stesso discorso (in verità un po’ paraculo) per cui le rece non sono recensioni: non si parla del gioco ma di noi in relazione al gioco, in maniera personale e poco professionale. Se preferite il parere dei professionisti andate direttamente lì: lo trovate sotto quel chilo e mezzo di banner pubblicitari che lo copre (e poi magari non vi dice nemmeno un gran cazzo del gioco, ma oh). E quindi, che è successo a noi mentre subivamo le immagini in diretta da Colonia? È successo che c’eravamo collegati con la speranza di vedere finalmente un po’ di ciccia a proposito di Death Stranding. Perché ok, l’altro trailer ci aveva detto la data di uscita, ma a parte quello si capiva meno di 2001: Odissea nello spazio. O di una conversazione su sesso e sentimenti con una ragazza, e la nostra comprensione della materia nei due esempi citati è passabile di denuncia (o di nomina a Ministro degli Interni). Qualcosa sulla trama, qualcosa sul gameplay, qualcosa su insomma quello che per anni ci hanno detto essere un videogioco. E invece Kojima ci ha pisciato in faccia, e c’è piaciuto un sacco.

Volevamo il gameplay, volevamo la trama, e Kojima ci ha pisciato in faccia in mondovisione. E c'è piaciuto un sacco

Metodo che? È un sistema educativo ideato da Maria Montessori che (citando Wikipedia) nasce perché l’insegnamento era impartito in modo forzatamente nozionistico. Praticamente l’istruzione italiana di oggi…

E no, non perché banalmente ci schieriamo sempre e comunque per chi crea e non per chi consuma, per cui fa bene Kojima a non darci un cazzo anche se strepitiamo come dei bambini viziati. In fondo non è nemmeno tutta colpa nostra, se la Zaibatsu media quando facciamo i capricci ci mette nel giro di un tweet la tetta in bocca per farci stare in silenzio fino alla prossima petizione su Change.org. Non siamo mai stati educati al no, ma stiamo imparando. E gli schiaffi come quelli che ci sta mollando in faccia Hideo Kojima sono funzionali a questo processo, un Metodo Montessori 2.0 per disagiati digitali, che hanno un sacco di giocattoli utili ma preferiscono usarli per minacciare di morte gli sviluppatori. Il punto non è quello: quando Kojima ci ha pisciato in faccia c’è venuto duro perché, per chi sa fare mente locale e sta seguendo il gioco con la dovuta attenzione, si è detto molto. Moltissimo. Pur non dicendo tutto, pur dando l’impressione di non star dicendo un cazzo. È il solito toto-Kojima a cui abbiamo sistematicamente giocato nel periodo che passava tra l’annuncio di un Metal Gear e la sua uscita – certo, prima che Konami monetizzasse pure quella finestra con Ground Zeroes –, dove ci andiamo a infognare di teorie su che cazzo voglia dire quel maledetto “V Has Come To” e arriviamo pure a sospettare che si parli di un capitolo per PlayStation Vita. Con ragione, perché il gioco funziona perché Kojima lo fa funzionare. Soprattutto disseminando indizi e trollate tipo quella della gif qui sotto.

Chi segue Death Stranding dall’inizio sa che è stato presentato come un gioco che voleva esplorare la Corda, rispetto al Bastone che invece viene solitamente indagato in un videogioco tradizionale. È una teoria che si ispira ad atto unico (si, parliamo di teatro, così viene duro anche all’Avvocato) scritto da Kōbō Abe, che vede la Corda e il Bastone come le prime invenzioni dell’uomo. Laddove il Bastone viene utilizzato per l’offesa, in una sineddoche per indicare le armi e la violenza – alla base del 99% delle esperienze pad alla mano che abbiamo giocato in trent’anni – la Corda è la capacità di legare cose, persone e animali a sé, un concetto che nei videogiochi non è inedito ma non è stato di certo fondante. Abbiamo empatizzato (e quindi legato) con decine di personaggi virtuali, abbiamo fatto squadra con loro e in alcuni giochi abbiamo anche accumulato possedimenti, legando a noi beni (im)materiali. L’ultimo trailer ribadisce proprio questo: in Death Stranding la Corda non è una costola, ma è una delle componenti principali dell’esperienza. Non è un caso se quanto mostrato continua, anche ossessivamente, a indugiare sui personaggi e sui loro legami (con Sam, ma non solo), assorbendo tutto lo spazio che una produzione tradizionale, in fase di marketing, dedica alla sua interpretazione del Bastone. Che ci sarà; ci aspettiamo che ci sia perché la morte è allo stesso modo parte dell’esperienza (il titolo è Death Stranding), abbiamo intravisto qualcosa a tema e soprattutto Kojima la sta menando dall’annuncio che siamo davanti ad un nuovo genere, per cui non può essere solo un Walking Simulator ad alto budget. O almeno, abbiamo bisogno di credere che non sia così, perché abbiamo bisogno di credere che il mercato possa essere migliore, che ci possa essere finalmente il dovuto spazio per gli autori e per chi vuole sperimentare, anche fuori dal mondo indie.

Perché abbiamo bisogno che ogni tanto esca qualcosa di diverso, e se poi ci fa schifo non è un dramma. Perché i videogiochi tradizionali esistono dagli anni ’80 e continueranno ad esistere anche dopo Death Stranding.

Per cui non rompeteci il cazzo, se vogliamo ancora credere. Anche in Death Stranding…

livello d'attesa
bignami per pigri
Ho paura. Ho fottutamente paura. Paura che Kojima stia tirando troppo la corda, paura che alla fine l'8 novembre finirò a dare 70 e rotti euro ad un titolo dove non si gioca, a qualcosa di così alieno al mondo dei videogiochi da riuscire finalmente a chiarire il confine tra cosa può esserlo e cosa no. E non esserlo. Però diamine, non abbiamo paura ogni fottutissima volta che stiamo per fare qualcosa che potrebbe cambiarci la vita? Ogni volta che dichiariamo i nostri sentimenti, avviamo un nuovo progetto, ogni volta che corriamo per una volta un cazzo di rischio? La paura è parte di noi e dobbiamo accettarlo. Perché per banale che sia, dall'altra parte della paura c'è proprio quello che stiamo cercando...
top&flop
> È Hideo Kojima, il mio primo "ti amo"...

> ... E si sta giocando tutta la sua carriera