Guardo la piastrella di Daymare 1998 sulla mia PS4 e mi dico che è un punto d’arrivo. Non che sia il primo indie italiano ad arrivare dentro quell’hard disk, ad essere associato finché server non ci separi alla mia gamertag. Quello per inciso nella mia testa è e rimane Futuridium EP Deluxe, fottesega se qualcuno è arrivato prima di MixedBag. La prima scopata autarchica su PS4 non si scorda mai. No, Daymare 1998 su PS4 (e vabbè, Xbox One) è un punto d’arrivo perché Invader Studios è arrivata alle soglie del pop, con tanto di copia fisica e distribuzione nelle grandi catene. Per un titolo sviluppato da una manciata di persone legate in un sottoscala – potrebbe non corrispondere al vero – è innegabilmente un successo.
Non tanto a livello di sviluppo, no. Anzi. Daymare 1998 è anche apprezzabile da questo punto di vista. In un mercato dove si produce solo roba in pixel art che suona come suonava un titolo a caso dell’epoca NES/SNES, Invader Studios non si cimenta in una cover. O meglio, lo fa, ma mettendoci del suo. Perché va detto, Daymare 1998 non fa nulla per nascondere la sua chiara ispirazione a Resident Evil 2. Al punto da sbatterti in faccia una macchina da scrivere in uno dei primi enigmi del gioco. Però sotto questo strato di influenze, citazioni ed ispirazioni c’è la voglia di raccontare una storia. Di creare qualcosa che peschi da quell’immaginario ma che abbia una propria identità.
E la mossa per certi versi riesce, perché alcune trovate (la gestione dei caricatori, l’inventario in tempo reale) vanno oltre la cifra stilistica e diventano elementi di gameplay ben innestati nel tessuto del gioco. Elementi che spesso fanno invocare il Signore, associandolo a qualche figura suina o – peggio ancora – a David Cage. Figura, quella del Davidone d’oltralpe, che viene tra l’altro di tanto in tanto voglia di nominare invano guardando al racconto e alla sceneggiatura. Ci sono però evidenti limiti nella produzione, che questa finestra di lancio a ridosso di Resident Evil 3 Remake non fa altro che enfatizzare. Nemici non poi così vari che si alternano a boss fight abbastanza generiche, che sostanzialmente ripetono lo stesso pattern.
E visto che è un pattern che potremmo riassumere con “spara a tutto quello che si muove finché si muove”, e come si cercava di dire qui sopra prima di divagare dalle parti di Quantic Dream lo shooting è a suo modo iconico, ma lento e macchinoso, la soluzione scelta è un po’ sciatta. Ecco, sicuramente non allo stesso livello di resa ludica degli enigmi, che figurati se potevano mancare in un titolo chiaramente (e liberamente) ispirato a Resident Evil. Daymare 1998 prova in tutti i modi a farti sentire scemo, davanti alla tua PS4/One – su PC mediamente sei abbastanza furbo da non credere ai FLOPS, ti grazio –, e spesso minaccia di riuscirci. Il già citato enigma della macchina da scrivere è un sacco furbo, e mescola bene l’uso della melonara all’esplorazione dell’area per cogliere indizi.
Non è il capolavoro a cui dare 8 o 8.5, come successo su qualche testata dabbene. Ma un Survival Horror alla vecchia, da giocare se siete cresciuti a pane e Chris Redfield (che in RE2 manco c’era, vabbè) in attesa di capire cosa vuole fare Capcom della serie. Perché ok, belli i remake, magari riesci a vendere pure quello di Resident Evil 4 che è il capitolo apocrifo, ma poi? Daymare 1998 è il classico titolo per PS4 che in un’altra timeline, dove i negozi hanno mantenuto il leggendario cestone, avremmo pescato volentieri da li. Quella perla non eccezionale ma che comunque ha il suo perché, che compri in saldo e ti fa affezionare. Non c’è niente di male in questo e non c’è nulla di male in produzioni del genere.
Tipo 3/4 della roba di Alessandro Taini che ho amato viene proprio da quella terra di mezzo che è sparita non poi così misteriosamente, e l’indie dovrebbe adesso tirare fuori le palle e riproporcela. Ecco, più di tutto forse è importante questo. È importante dire a Invader Studios quali sono esattamente i limiti di questo primo capitolo, se vogliamo che poi il secondo lasci il segno. Vogliamo che il movimento videogiochi in Italia cresca, che cresca soprattutto grazie ai nostri sviluppatori. Non serve a un cazzo, essere dei compiacenti paraculo perché dai, so paisà. No. È anche per questo, che il giudizio che sto blaterando è così asciutto e diretto. Daymare 1998 è un punto d’arrivo.