SegheMentali All men. Stacce.

Filippo Turetta potenzialmente ha vissuto le stesse esperienze che ho vissuto io nella cultura pop. Il sospetto che domani potrei essere come lui dovrebbe quantomeno sfiorarmi.

Insomma è tutta la settimana che ci ripetiamo Not All Men.
È tutta la settimana che urliamo a gente che ha tutto il diritto di aver finito la pazienza per ascoltarci che non ci sentiamo in colpa per il comportamento di una sola mela marcia, poco importa se poi apri le statistiche sui femminicidi quest’anno e solo in Italia le “mele marce” sono 105.
È tutta la settimana che, soprattutto, quando parliamo di queste cose arriva puntuale una domanda: “cosa c’entra coi videogiochi?”.

E la risposta è ”fottutamente tutto

Filippo Turetta poteva lavorare tranquillamente per Activision, o Ubisoft, o addirittura per Moon Studios, lə sviluppatorə dei due Ori (The Blind Forest and The Will of the Wisps). Perché manco le realtà più piccole si salvano, non ci resta più nemmeno l’indie che “doveva salvarci tuttə” e invece è finito a farsi pubblicare sotto l’etichetta di questa o quell’altra major. E alle major non gliene frega un gran cazzo dello stato di salute delle persone dietro al videogioco, se perfino il publisher dei buoni sentimenti — cioè Annapurna Interactive — davanti a reiterate segnalazioni di episodi di tossicità da parte di Ken Wong (Monument Valley, Florence) preferisce dirgli “licenzia tutti e riapri lo studio da un’altra parte assumendo neo-laureati che non hanno idea di cosa sia un ambiente di lavoro sano”.

Filippo Turetta sarebbe andato un sacco d’accordo con Chris Avellone, semmai avessero lavorato assieme sarebbe stato normale trovare nelle loro chat sul Messenger di Facebook commenti su quanto e come avrebbero volentieri mangiato la fregna di quella loro collega con la frangetta. Sarebbe stato un habitué della Cosby Suite e il terrore di tutte le addette ai lavori del videogioco ad ogni evento fieristico di settore, perché se sei donna fare networking alla GDC è safe quanto andarsene in giro per la città con la minigonna. Gli eventi in cui si incontra la gente giusta che può farti svoltare a livello di carriera si fanno tutti aperitivo alla mano e oh, lo sai che devi evitare di ubriacarti sennò poi il lupo lo trovi (citazione necessaria).

Filippo Turetta da ragazzino avrebbe fuso la sua PS2 a furia di scopare puttane per poi ammazzarle in GTA Vice City. Avrebbe scassato il tasto cerchio di DualShock col minigioco di God of War 3 in cui dovevi violentare Afrodite. Avrebbe spaccato di insulti Zoë Quinn nel 2014 quando questa troia l’ha data in giro in cambio di recensioni positive del suo giochino sulla depre, anche se di queste recensioni positive non s’è mai trovata traccia. Che poi è quello che sperava succedesse al cadavere di Giulia Cecchettin.

Filippo Turetta potenzialmente ha vissuto le stesse esperienze che ho vissuto io nella cultura pop. Il sospetto che domani potrei essere come lui dovrebbe quantomeno sfiorarmi

Non sto dicendo che è colpa dei videogiochi. DOOM non è il mandante della Columbine e di certo non è che giocando a The Witcher 3 abbiamo imparato a oggettificare le donne. Tutto questo succedeva prima dei videogiochi e, semmai falliremo nel cambiare le cose, succederà anche dopo. I videogiochi sono semplicemente uno specchio in cui si riflette tutta la nostra società. E la nostra società è una società in cui chi prende le decisioni è Filippo Turetta. Se queste parole ti stanno causando rabbia, chiediti perché.

Io me lo chiedo ogni volta che questa rabbia la subisco, quando provo a portare certe tematiche alla popolazione videogiocante. Sono un privilegiato, e le cose peggiori che mi sono state dette me le hanno dette dei videogiocatori su Internet. Mi sono beccato al massimo una marea di insulti, un po’ di DM in cui mi davano del simp e dello sfigato che scriveva certe cose nella speranza di riuscire a chiavarsi qualche femminista con la frangetta. Perché appunto ruota tutto attorno al sesso in questa cazzo di società, per cui se non hai la stessa attività sessuale di Geralt di Rivia sei un perdente. E me l’accollo pure, perché se passassi il mio tempo a scopare tra 20 anni poi mi rimarrebbero solo un sacco di rimpianti e un po’ di materiale per farsi le seghe. E su PornHub c’avrei l’imbarazzo della scelta, per cui perché?

Un po’ dei soliti dati che quando tiro fuori mi dici che faccio cherry picking.

Il 59% delle giocatrici nasconde il proprio genere. Il 70% di loro è stata giudicata, il 65% ha subito gatekeeping e il 50% ha subito commenti patronizzanti. Ah, e al 44% di loro vengono fatte domande sul loro status sentimentale giocando.

Davanti a queste statistiche, semplicemente, sragioniamo. Il primo impatto è quello di minimizzare il problema e negare l’evidenza dei fatti

Potrei citare un miliardo di esempi diretti e indiretti di questi comportamenti tossici. Linkare post sui social, screenshottare commenti, sentirmi dire per l’ennesima volta che “però te la vai a cercare se ti poni così” o che ormai ho un’immagine da Bad Boy della Game Critic™ per cui è un po’ come i cori razzisti allo stadio: non è razzismo vero, sono sfottò normalissimi. Eppure succede anche quando la tematica viene trattata con tutti i canoni di quella che nella bolla del videoludo è riconosciuta come professionalità. Un paio di anni fa sulla pagina Facebook di Horizon Psytech era stata postata un’infografica — basata su dati IIDEA — che parlava di come nonostante le donne siano il 47% della popolazione videogiocante in Italia solo il 21% giochi effettivamente online. E, soprattutto, di come da videogiocatrice il rischio di ricevere attacchi, minacce di stupro e condivisione non consensuale di materiale sessuale sia triplo rispetto ad un videogiocatore. Ecco una selezione dei commenti più da calci nelle palle sotto a quel post (che trovi qui, se vuoi fact-checkare):

Il logo sullo sfondo è il vecchio logo di GR. Lo schifo che provo è rimasto il medesimo.

Maura ha parlato un sacco di volte in live, sul blog e qui in newsletter di tutte queste cose portando la sua testimonianza diretta. Qualche mese fa succedeva ad una penna di Multiplayer.it, la cui unica colpa era avere un parere più idilliaco di quello di un altro Content Creator su Sea of Stars. Se andiamo indietro troveremo facilmente una marea di altri casi. Sia qui in Italia che all’estero, tipo quella volta che Liana Ruppert ha segnalato su Game Informer che le Braindance di Cyberpunk 2077 potevano causare epilessia fotosensibile (di cui anche lei è affetta) e per tutta risposta un sacco di gente ha iniziato a intasarle i DM di immagini sparaflashanti. Anche qua, non mi devi credere sulla parola, è tutto documentato.

Se andiamo indietro troveremo una marea di altri casi. Se andiamo avanti ne succederanno altrettanti.

Dobbiamo fare qualcosa, e farlo adesso. Il momento in cui auto-assolversi è finito da un pezzo. Bisogna accettare il fatto che siamo tutti parte di un problema più grande e iniziare a decostruirlo in single player, organizzando spazi e contributi multigiocatore dove farlo assieme. Non ti dirò che la prossima volta potrebbe toccare a tua sorella. A tua sorella è sicuramente già successo. Se non nei videogiochi nel fumetto, nel Cinema, al supermercato.

Siamo già fottutamente in ritardo. Ci muoviamo?

Quello che stai per leggere è un estratto da La Voce della Ribellione del 27 novembre 2023. C’è la fottuta esigenza di iniziare a decostruirci, per noi uomini in particolare. E quindi te lo becchi anche qua sul blog.