Che insegnamento puoi trarre dai videogiochi? Sono davvero pericolosi? Ho perso il conto di quante volte è stata fatta questa domanda nel corso degli anni.
L’insegnamento che ho tratto io dai videogiochi è questo. Qualsiasi media è potenzialmente pericoloso, anche un libro. “Come imposteresti un discorso educativo verso un genitore X che è fermamente convinto che i videogiochi sono la personificazione di Satana e la mente più chiusa della figa di Peach?“
Restiamo coi piedi per terra. È inutile fare i fighetti partendo dai videogiochi dell’anteguerra, raccontandone la storia fino ad oggi. Soprattutto a qualcuno con una mentalità così chiusa. Si rischia di passare per snob, obbligando qualcuno a cambiare idea, scatenando l’ennesima rappresaglia contro il mondo videoulico e chi ne fa parte. Proviamo invece a far capire perchè per noi i videogiochi sono importanti. Parlate direttamente ai cuori, alle anime di chi è esterno a questo mondo. Lo so, detta coì sembra qualcosa di utopistico e romantico, ma… I videogiochi mi hanno insegnato qualcosa? Mi hanno lasciato dei ricordi o delle esperienze piacevoli?
Se avete una risposta affermativa alle due domande, è un buon punto di partenza. Non è detto che il genitore X cambierà idea di punto in bianco, ma magari inizierà a pensarci diversamente da prima, chissà. L’importante è il dialogo tra le due parti. Perchè il genitore X pensa A? Perchè io penso B? Di solito lo chiedo, sono sempre curiosa di sapere come mai qualcuno ha un’idea diversa dalla mia. A volte bisognerebbe tornare ad essere curiosi, come quando eravamo dei piccoli ignoranti e continuavamo a chiedere “Perchè?” anche sulle cose più stupide.
Beh, io penso B per la mia esperienza, e magari qualche genitore X potrà pensare “Ah, questa è tutta scema” mentre un altro “Ah, forse sbaglio a fare di tutta l’erba un fascio“.
Da piccola ogni tanto giocavo con mio padre, e pure lui era abbastanza ansioso sul pericolo dei videogiochi. Dopo essersi arreso al fatto che gli rubavo il pc per giocare a Solitario, Prato Fiorito, stare ore a fare i minigiochi presenti nei CD-ROM dell’enciclopedia DeAgostini… beh, alla fine mi regalò una Play Station. Ma rigorosamente da tenere in salotto, proibito giocare in cameretta. Non mi ha mai chiesto nulla. Quando mi comprava un gioco guardava di cosa parlava e se combaciava coi miei gusti.
Mi prese Tekken 3 come primo gioco perché guardavamo i film di arti marziali assieme. Mi prese Klonoa per il design e la storia. Final Fantasy 9 me lo prese sulla fiducia (lo portai allo sfinimento, talmente ne parlavo), sapendo che era un gioco molto lungo e con una storia molto più profonda. E avevo 8 o 9 anni. Comprò Crash Bandicoot 3 e lo giocavamo insieme: io gli dicevo dove andare e cosa fare e lui pigiava i tasti sul joypad. Poi c’erano le discussioni su chi dei 2 era incapace, se io a comandare o lui a pigiare, quando morivamo male dai boss per capire la strategia, ma dettagli.
Non mi ha mai comprato Resident Evil, perché sapeva che odiavo i film di paura. Ma mi prese Zone of the Enders perché mi piacevano i robottoni e guardavo tutti i cartoni animati relativi al genere. Insomma, sapeva cosa mi piaceva e cosa no perché, anche se non era uno molto espansivo o invadente, osservava le mie reazioni e cercava un gioco giusto di conseguenza. Ora ovviamente non lo fa più, dalla fine delle medie in poi i giochi li ho sempre presi da sola.
Ma da quando mi regalarono la PlayStation mi hanno sempre dato una sorta di regolamento, che poi valeva anche sugli altri giochi classici. Ovvero “prima il dovere poi il piacere“, nulla di troppo ferreo alla fine.
Al liceo ho cominciato a giocare in inglese. Un altro insegnamento che i videogiochi mi hanno trasmesso. Più avanti ancora ho cominciato a giocare online, a cooperare e coordinarmi con un gruppo. Alle volte, pure a dare ordini e delegare per raggiungere uno scopo comune. Ma sempre con l’idea che dall’altra parte dello schermo non ci sono solo dei pixel, ma delle persone. Ho sempre ritenuto importante questa parte, da frequentatrice di forum che ero e da ex-vittima di bullismo. Personalmente, ho imparato quasi di più giocando che con una educazione scolastica classica.
Basterebbe mettersi li 5 minuti e parlarsi, ma soprattutto ascoltarsi, non serve chissà che cosa. Ma attualmente sembra più facile mettere un bambino davanti ad un tablet a guardare Peppa Pig, o comprare un gioco a caso solo perchè ce l’hanno gli amichetti senza leggere o chiedere nulla.
Per poi lamentarsi del fatto che sono una droga oppure violenti, piuttosto che mettersi li a leggere assieme una storia, fare una partita a Mario Kart, o parlare di qualsiasi argomento mentre ci si pesta “allegramente” su Tekken o su Smash.
Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?