Farò qualunque cosa per vendere bene la recensione di Everhood all’Algoritmo Dio Nostro di Google. Incluso il chiamarla recensione quando qua si fanno rece, perché non me ne frega un cazzo e devo esserci io lì. Ad ogni costo, come se fossi uno di quei venditori di fumo che chiamiamo giornalisti videoludici. Lo voglio fare perché Everhood è un’esperienza pazzesca. Se davvero i figli sono di chi se li cresce, vorrei almeno essere suo zio. Ci ho giocato nell’ultimo mese. Di più, ho avuto la fortuna di giocare Everhood assieme a quel merda dell’Avvocato, che mentre scrivo la rece di qua sta facendo la recensione di là. E beh, Everhood mi ha ricordato perché amo i videogiochi.
Non posso dirti nulla, ma è un gioco che ti sorprenderà abbastanza, soprattutto se sei abituato a pensare alla progressione solita delle meccaniche
TheLawyer
Quest’anno è l’anno in cui ne compio 30. Gioco da quando ne ho tre, da quando mi sono innamorato di Prince of Persia al punto da imparare a leggere e scrivere per poter lanciare la GUI di Windows 3.1 e giocare. Gioco da tutta una vita, e non lo dico per flexare quanto conosco il medium, anche perché credo di aver iniziato a capirlo davvero solo qualche anno fa. Però in 27 anni ne ho provate tante, come Rocco Siffredi in quello spot delle patatine. Mi diverto a fare il saputo, quello che già da un trailer indovina e c’azzecca perché ormai ne sa. Leggo questo messaggio di Fra su Telegram e penso seh, lallero. Due ore di gioco dopo succede questo:
COSA CAZZO HO GIOCATO
Phatekoker
COSA CAZZO HO APPENA GIOCATO
P***O IDDIO CHE GENIO
Si è reinventato 10 volte nel giro di due minuti
Everhood è quello che sarebbe un videogioco dell’Unico Vero HiDio se gli togliessi il budget. Perché ok, che belli i soldi così posso pagare Norman Reedus e fargli il motion capture mentre si strappa le unghie dei piedi, però stringi stringi alla fine quello che tiene su un videogioco è il gameplay. La trama – c’aveva ragione Carmack – è come nei film porno, t’aspetti che ci sia ma non è così importante. E infatti siamo riusciti ad amare alla follia porcherie che non stanno in piedi mai narrativamente. Poi aiuta, perché molto del fascino di Everhood passa anche dalla narrativa e dal linguaggio ludico che usa per esprimerla. E aiuta avere un amico che se lo gioca in parallelo a te, con una sensibilità diversa dalla tua e un modo diverso di vivere il medium, perché che esista un solo modo giusto per fare le cose è una stronzata.
Però stringi stringi un gioco lo devi giocare. E Everhood sarebbe Gesù Cristo anche se fosse un’unica Boss Rush. Non c’è uno schema che si ripete, non ci sono punti di riferimento e quando pensi che ci siano il frame dopo cambiano, spariscono, si spostano. Una sinestesia psichedelica di elementi che continua a battere sulle retine al suono martellante della tecno della colonna sonora. È Tetris Effect, è Undertale, è quel Guitar Hero su cui ti sei consumato le dita su PlayStation 2.
È sbattersene il cazzo di chi sta davanti allo schermo. La consapevolezza che il giocatore non va coccolato, no, il giocatore è un ostaggio e in quanto tale può sviluppare una Sindrome di Stoccolma. Sequenze strobo che s’alternano a schermate completamente nere tra una transizione e l’altra, la tua immagine che si riflette sullo schermo della TV. E pensi a quanto ti mancava sentirti così, sopraffatto dal game design, dal game designer. Rifletti sulle Verità Assolute e sul concetto di umanità. Sulle scelte fatte dal burattino che muovi dall’altra parte dello schermo e sulle tue, che in un certo senso hai comunque dei fili che vengono tirati da terze parti.
Ti fermi sulle linee di dialogo, per cercare di ricostruire la lore di un mondo che non sai fino a che punto sia finto. Se e quanto c’è di meta. La Everhood di cui si parla in-game è un luogo? Uno spazio in un’altra dimensione? È il gioco stesso? Quel mini-gioco era davvero un mini-gioco o era un tutorial per quell’altra sezione, quella dove finalmente oltre alla cappa ti danno anche la spada? Everhood è un inganno di cui non ti riesci mai a fidare completamente. Pillole di paranoia compresse in una piastrella della dashboard, concentrate in una manciata di megabyte. Una ficata pazzesca, la prova che il nostro medium è davvero la cosa più incredibile che l’essere umano abbia mai prodotto.