Quello che è successo a Gameromancer e a Pietro Iacullo in questi giorni mi ha spinto a riflettere su cosa noi, come persone nerd, riteniamo violento e inaccettabile nell’umorismo.
La costruzione di una battuta si basa su un meccanismo che viene chiamato set up and punchline: prima si prepara il terreno della battuta e poi si porta a segno il colpo, come se fosse un pugno. C’è poi il contesto in cui si fa una battuta, da cui dipende l’interpretazione della battuta stessa.

Sul nuovo account Threads, Gameromancer scrive la seguente battuta: “La cosa che mi dispiace di più della morte dell’E3 è che non avremo mai una Ustica del giornalismo videoludico italiano“. La battuta viene percepita come violenta, e non solo: viene letta come un augurio di morte. Dopo averla attribuita a Pietro Iacullo, diversi appartenenti alla game critic italiana contattano collaboratori di Gameromancer e le riviste con cui Iacullo lavora per chiedere l’interruzione di ogni rapporto, taggano suoi parenti e persino l’associazione delle vittime della strage di Ustica.

Prima di soffermarmi sull’analisi di questa vicenda, vorrei fare un parallelismo che mi è sorto immediato appena ho ascoltato questa storia:

la vicenda della striscia di Gipi e di quella di Percy Bertolini

Un po’ di tempo fa, Gipi, un notissimo fumettista italiano, realizzò una striscia comica sul suo profilo instagram. Veniva messa in scena la vicenda di un ispettore che, nel raccogliere la denuncia di percosse di una donna da parte di un certo Andrea, decide di crederle perché “a una donna si deve credere sempre”. Tuttavia, poco dopo, giunge un’altra donna a sporgere denuncia contro la prima e si scopre che l’Andrea succitato fosse in realtà lei.

Nelle intenzioni dell’autore la striscia voleva evidenziare, mostrando due donne accusarsi a vicenda, una possibile contraddizione dello slogan “Alle donne si deve credere sempre”, ispiratagli da un articolo di Simonetta Sciandivasci. Quindi abbiamo il setup, una donna accusa un uomo di nome Andrea; il contesto, ovvero lo slogan “Alle donne si deve credere sempre”; e infine la punchline, si scopre che quell’Andrea è in realtà donna e si ribalta la situazione.

La striscia generò un polverone di critica e fu considerata sessista. Gipi ha sempre rifiutato ogni accusa, non riuscendo a capire come si potesse considerarla una battuta violenta.

Il problema sta nell’interpretazione del contesto. L’articolo di Sciandivasci era sul violento victim blaming subito dalla ragazza che aveva accusato di stupro il figlio di Grillo. Sciandivasci trasse una riflessione sulla legittimità dello slogan femminista usato per proteggere la vittima in questione, appunto “Alle donne si deve credere sempre”; ma sbagliò lo slogan, che è in realtà “Sorella io ti credo”, ed è uno slogan adottato in quanto il sistema istituzionale, in casi di violenza sessuale, è concentrato non sul processare il colpevole per lo stupro, quanto la vittima per la veridicità del suo racconto. La maggioranza delle donne che denuncia, infatti, trova un muro da parte delle forze dell’ordine, che non raccolgono la denuncia, o la mettono in dubbio, o fanno domande inopportune, o colpevolizzano la vittima, quindi appunto non le credono.

Cambiando questo contesto, la striscia assume connotati differenti

Abbiamo dunque il racconto di una donna che va a denunciare a un poliziotto una violenza subita da un uomo di nome Andrea; il poliziotto applica quello che crede sia uno slogan femminista, decidendo di credere alla donna solo in quanto donna; infine arriva Andrea, anche lei donna, che denuncia a sua volta una violenza dalla prima. A questo punto l’ispettore va in tilt perché non sa a quale donna credere; ma nel farlo mette in dubbio entrambe le donne. In questo diverso contesto, ovviamente, la striscia si connota in un quadro di delegittimazione da parte delle forze dell’ordine delle denunce di violenza sessuale; e in questo contesto la battuta risulta sessista e violenta. La lettura finale, infatti, ironizza su dei reali ostacoli che le donne incontrano quotidianamente nel contrastare la violenza di genere, e sull’inazione delle forze dell’ordine che le porta spesso ad essere ammazzate.

A questa striscia rispose unə altrə fumettista italianə, Percy Bertolini, molto meno celebre di Gipi. Nella striscia Percy va all’inferno per incontrare Ade, dio dei morti, e gli chiede di poter scambiare Tuono Pettinato, un suo caro amico fumettista morto prematuramente, con Gipi. Ade risponde a Percy di no, che Gipi, con le sue storie di maschi che giocano alla guerra e che si autocommiserano, avrebbero dovuto tenerselo per altri quindici anni, e Percy piange.

Anche questa striscia generò un polverone e venne considerata un violento augurio di morte verso Gipi. Riapplichiamo lo schema: il contesto è che Tuono Pettinato, fumettista molto amato, muore troppo giovane, mentre nello stesso periodo Gipi rifiuta qualsiasi critica alla sua striscia sessista; il setup è che Percy prega il dio dei morti che Gipi muoia e che Tuono Pettinato torni in vita; la punchline è che, poiché Ade odia Gipi, non lo vuole con sè e lo tiene in vita, mentre Tuono resterà morto.

Quindi nella striscia non possiamo negare ci sia un augurio di morte, o meglio di scambi di morti. Tuttavia, la striscia stessa ci ricorda che questo è impossibile; inoltre la striscia ha una doppio intento comunicativo, colpisce cioè Gipi in quanto autore, e contemporaneamente racconta un pensiero spontaneo al momento di un lutto, “perché la persona amata e non la persona che considero stronza?”. L’augurio di morte è quindi reale nella testa del Percy personaggio, ma smontato dallə Percy autorə. 

In ogni caso, ci sta che il contesto di questa striscia possa essere considerato violento. Ci sta anche che venga interpretato come un augurio di morte (per quanto, a mio modesto parere, significa non riuscire a leggere criticamente). Ma quello che è interessante considerare è che un augurio di morte, in questa forma, non ha riscontri nella realtà; non quanto è reale, per esempio, un poliziotto che colpevolizza una donna vittima di violenza.

Gipi e le persone che tengono a lui possono giustamente sentirsi offese da una striscia come quella di Bertolini, che si basa su un’idea di comicità violenta, o black humor. Ma Gipi è una persona sola, e non è stata davvero minacciata di morte da Bertolini; ma le persone a lui care hanno percepito la minaccia come reale, pur nel contesto di una battuta.

Legittimo, assolutamente. Ma allo stesso tempo, Gipi e i suoi sostenitori si sono rifiutati di vedere il contesto violento della striscia del poliziotto

di riconoscere la legittimità del sentire delle persone offese, e soprattutto di riconoscere che quel tipo di battuta minaccia davvero la credibilità di una donna, proprio perché è in un contesto in cui già non viene creduta.

Un altro concetto della comicità è il punch up/punch down: con punch up si intende una punchline che colpisce una persona o una categoria potente, e viene eseguita di solito per rivendicazione. Un punch down invece è una punchline che si rivolge verso una persona o una categoria meno potente o marginalizzata, e viene spesso associata al bullismo. 

Gipi in questo caso ha fatto punch down sulle donne vittime di violenza. Bertolini ha fatto punch up verso un collega potente e famoso, in un momento in cui lui era sotto critica feroce e quindi esposto. Seppure anche io abbia trovato la striscia di Percy poggiata su un certo sottotesto violento, l’ho comunque estremamente apprezzata come rivendicazione: perché in un mondo in cui la violenza quotidiana che riceviamo non viene riconosciuta e anzi delegittimata anche e soprattutto da chi la agisce contro di noi, io capisco una reazione magari altrettanto violenta. E a volte, come in questo caso, la rivendico come mia.

Ora torniamo a Gameromancer e analizziamo la battuta su Threads. Il contesto è che Gameromancer, con toni dichiaratamente sopra le righe, critica aspramente il settore del giornalismo videoludico italiano; il setup è che con la chiusura dell’E3, un festival importantissimo del mondo videoludico internazionale, il giornalismo italiano non potrà più parteciparvi volando oltreoceano; la punchline è che quindi, purtroppo, non potrà mai esserci una Ustica nel settore videoludico italiano.

La strage di Ustica è stato un incidente aereo che ha segnato l’immaginario collettivo italiano anche perché non c’è stato nessun sopravvissuto. Anche questa battuta è stata quindi interpretata come un augurio di morte, un reale desiderio che i giornalisti italiani possano affondare nell’oceano con tutto l’aereo.

Analizziamo i due contesti che possiamo trovare in questa vicenda: da un lato Gameromancer che nel suo manifesto di intenti spinge il linguaggio a una scorrettezza scandalosa, ma che augura ogni due o tre al settore giornalistico di videogiochi di esplodere, distruggersi, incenerirsi. Dall’altro abbiamo dei giornalisti che la minaccia della possibilità di morire in un incidente aereo se la sono sentita addosso, proprio perché ci sono stati davvero su quell’aereo, e quella possibilità poteva essere reale.

Nella battuta non c’è scritto “giornalisti”, ma “giornalismo”. Quindi non le persone, ma il settore. Dire “Il giornalismo deve esplodere” o “il giornalismo deve affondare in un incidente aereo” hanno la medesima valenza di augurio figurato, esistente ma senza un riscontro plausibile nella realtà: Gameromancer si augura che il giornalismo videoludico italiano cambi radicalmente, o che chiuda in toto e ricominci da capo, non che qualcuno metta delle bombe nelle redazioni di tutta Italia. La pietra (o il Pietro) dello scandalo è dovuta all’uso dell’immagine di Ustica. 

Usare il nome di Ustica dà un senso di realtà agli auguri di distruzione, aggiunge concretezza. Per cui è legittimo che i giornalisti videoludici possano essersi sentiti offesi da questa battuta

Da qui a leggerla come un reale augurio di morte, però, ci passa una manchevolezza nella lettura, in parte credo dovuta anche all’effettivo uso della parola “morte” nella battuta (riferita però all’E3). Sembra assurdo pensare che una realtà come Gameromancer possa davvero augurare la morte a qualcuno; infatti il target della battuta è il giornalismo, il settore, la categoria. Il target è il sistema, non le singole persone che lo compongono. È un punch up, non un punch down. Il paragone con Ustica però dà alla battuta un sottotesto violento, perché le persone morte a Ustica erano reali, vere.

Come i giornalisti che hanno davvero volato all’E3 e si sono immaginati a precipitare. Questo ha fatto sì che quella battuta venisse percepita come un augurio reale di morte. E ripeto, basta applicare un po’ di capacità critica per capire che non lo sia; ma è assolutamente comprensibile che abbia offeso delle persone, inclusi i familiari delle vittime di Ustica, e che queste persone chiedano delle scuse.

Ma allora le suddette persone, gli uomini del giornalismo italiano, capiscono la violenza che può esserci in una battuta. La leggono, quando se la sentono addosso; le fallacie comunicative vengono sottolineate, quando le vittime sono loro.

Come mai gli uomini della critica del videogioco, gli uomini del fumetto, gli uomini nerd, si offendono e si scandalizzano per il black humor sulla morte ma non per le miriadi di battute sessiste, omofobe, schifosamente discriminatorie che i loro colleghi fanno continuamente? Perché non la percepiscono su di loro. Non li sentono sulla loro pelle la misoginia, il razzismo, le discriminazioni, non le provano e quindi sono solo nella testa di chi legge. 

I giornalisti del settore videoludico italiano pensano che Pietro Iacullo o qualcuno di Gameromancer possa realmente andare ad ammazzarli sotto casa, o fare una macumba per farli morire (a che pro poi non lo so, visto che Pietro e altre persone di Gameromancer sono nello stesso settore di critica videoludica)? Forse sì, a questo punto. Ma non pensano, per esempio, che una donna possa sentirsi minacciata davvero da uno dei loro colleghi, che possa seguirla, molestarla, renderle il lavoro impossibile? No, queste cose sono implausibili, le battute sono battute.

Il doppio standard è così lampante che è assurdo stare qui a spiegarlo

Ma serve, perché la Game Critic ha applicato tutte le regole di quella che loro chiamano Cancel Culture, facendo pressione affinché nessuno lavorasse più con Pietro, collaborasse con Gameromancer, taggando i parenti di Pietro, taggando i familiari delle vittime di Ustica. Il tutto senza provare manco mezza volta a confrontarsi con Pietro o con Gameromancer, nonostante molte persone della game critic che si sono sentite offese siano molto più potenti e influenti.

Sarebbe bastato chiedere “Ehi, ma per caso state augurando a tutti noi di morire davvero?”. Probabilmente se non hanno fatto questa domanda è perché sapevano già la risposta. Sarebbe bastato un umanissimo “Questa battuta mi ha fatto stare male, mi ha offeso. Potreste scusarvi o chiarire?”. Non credo che nessuno di Gameromancer si sarebbe tirato indietro di fronte a questo.

È un evidentissimo punch down, solo che non vuole far ridere. È un comportamento così sproporzionato che mi lascia dentro una furia buia. E questo comportamento non viene applicato verso i colleghi accusati di molestie e sessimo e discriminazione; ma verso un collega che ha fatto quelli che vengono percepiti come auguri di morte reali, minacce vere. È incredibile.

Così incredibile che, per quanto a me la battuta su Ustica non sia piaciuta e la ritenga fuori luogo e insensibile, me la rivendico. La rivendico anche io perché fate così schifo che augurarvi di morire non serve, perché siete morti dentro. E voi che vi rifiutate di vedere la violenza se non quando ve la sentite addosso, sappiate che state soltanto creando una reazione ancor più violenta. Se voi stessi non eliminate la violenza dentro e intorno a voi, lo faremo noi.

E questo, questo sì, è un augurio. E una promessa.

Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?