Fallire e morire in epoca Heian
È il 1118 e a Kyoto imperversano una serie di piaghe: terremoti, incendi e orde di demoni. Un solo clan era incaricato di respingere l’invasione; un compito arduo e destinato a fallire inesorabilmente. Questo male poteva essere ancora placato attraverso uno specifico rituale: il sacrificio umano ne era la chiave. Quale bestia migliore da sgozzare se non una famiglia di falliti, l’unica che non era stata in grado di difendere la capitale? Così un clan venne estirpato dall’esistenza. Vite decimate. Immerse nella vergogna di non aver servito adeguatamente l’impero. Una stirpe resuscitata in seguito dall’intervento divino, una seconda possibilità pagata a caro prezzo: a quello stigma indelebile si aggiungevano altre maledizioni. I nuovi discendenti erano destinati a unirsi con divinità o altri clan maledetti, ma in ogni caso non sarebbero mai sopravvissuti più di due anni.
Il mondo di Oreshika: Tainted Bloodlines si mostra fin da subito spietato, delineato da morte e malattia. Una gravità in pieno contrasto con lo stile grafico vivace. Un tripudio di colore che pesca in pieno dalla pittura tradizionale giapponese. Non a caso, gli eventi narrati appartengono all’epoca Heian, periodo cruciale per lo sviluppo dello stile yamato-e. Sono anche gli stessi anni del Genji Monogatari Emaki, rotolo illustrato basato sul Racconto di Genji. Diverse scene del romanzo vennero riprodotte su altri formati nel corso dei secoli successivi. Un elemento ricorrente era l’utilizzo di nuvole dorata per racchiudere i singoli eventi. Tecnica ereditata da Oreshika, che utilizza quelle stesse nuvole dorate (seguendo uno stile vicino a Tawaraya Sōtatsu della scuola Rinpa) per decorare i caricamenti tra le varie schermate. Lo stretto legame con le gesta del principe splendente enfatizza l’importanza data dal titolo a dinastia e vita di corte.
Il controllo dei nuovi discendenti del clan è infatti al centro di questo titolo: programmare come andrà a svilupparsi la dinastia influisce sull’esito di tutte le battaglie ed esplorazioni. Giocare con quelle pesanti maledizioni fino a domarle e renderle invece un punto di forza. Si ha la sensazione costante di trascinarsi dietro questo male insanabile. Le fasi da Dungeon Crawler sono una corsa contro una vecchiaia incombente che potrebbe decimare nuovamente il clan. Oreshika gioca molto bene con il concetto di tempo, grazie a una scelta di design molto interessante: nella fase di creazione del clan è possibile decidere la velocità di progressione dei giorni all’interno del gioco (scelta che si può modificare anche successivamente). Si possono così comprimere le vicende nell’arco di una trentina di ore, così come dilatarle – andando però incontro a grinding e ripetizione – fino ad arrivare a un centinaio di ore di gioco.
Oreshika riesce a restituire egregiamente il concetto di ereditarietà grazie alle sue meccaniche, ma anche per via della sua stessa natura. È infatti il seguito di Ore no Shikabane wo Koete Yuke, dungeon crawler solamente in Giappone per Playstation nel 1999 e riproposto su PSP nel 2011. Un titolo tutto sommato di successo, ma ancorato alle console nipponiche. Oreshika si pone come una sua reincarnazione, ereditandone setting e meccaniche e aprendosi al mercato occidentale. Una possibilità di rinascita analoga a quella del clan protagonista, ma segnata dalla medesima condanna: un’esistenza temporanea. La scelta di Playstation Vita come piattaforma rese ben presto invisibile il titolo di Alfa System. Lo stesso team di sviluppo si è lentamente dissolto fino all’acquisizione da parte di Meteorise nel 2021, sotto la quale – almeno per il momento – ha potuto esprimersi unicamente attraverso un porting di Castle of Shikigami 2. La memoria di Oreshika sopravvive così a fatica, ricalcando in pieno le sorti di questa dinastia maledetta.
Gli Yokai, nemici principali del gioco, hanno un design che ricalca le più disparate versioni dei rotoli intitolati Hyakki yagyō, ovvero “La parata notturna dei cento demoni”. Ognuno di questi essere rappresentava una paura o un pericolo particolare, e la sua raffigurazione serviva da avvertimento per gli uomini. Con il passare degli anni Oreshika ha ereditato questa medesima funzione: è diventato portavoce di una paura ben definita, quella dell’oblio. Un titolo maledetto che da sempre lotta per non essere dimenticato…
Con il suo immaginario ci ricorda quanto sia arduo lasciare il segno nel tempo.
Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?