Rece The Master’s Pupil, aka il giochino ispirato a Claude Monet

Non è una recensione di The Master's Pupill. Sono cose che ho pensato giocando. Impressioni, ecco.

Ti risparmio la facile battuta Monet/Mona che avrei diritto di fare in quanto veneziano…

Ho scoperto The Master’s Pupil su TikTok. Non ne ho trovato sostanzialmente nessuna altra traccia pre-release, al netto della pagina su Steam e quella sul sitino di Nintendo. In questo TikTok Pat Naoum, l’autore di The Master’s Pupil, raccontava di come avesse impiegato sette anni a tirare fuori questo videogioco completamente dipinto a mano. Di come rivendicasse quello sforzo con un certo orgoglio, specificando che esclusi i quadri di Monet tutto quello che c’è in-game è nato dal suo pennello. Per qualche motivo quel TikTok mi ha colpito. Ho cercato subito un contatto per parlare con Pat, perché quei 30 secondi di video in 1080×1920 mi avevano fatto capire una cosa:

Avevo bisogno di giocare The Master's Pupil

Mona? Per la cronaca Monet ha dipinto diverse volte Venezia. Per cui è il minimo che ironizziamo sul suo cognome. Ah, e comunque The Master’s Pupil è un puzzle-platform con enigmi basati sui colori, non ti aspettare che il resto del pezzo ne parli però.

Non tanto per parlarne in quanto opera, ma per quello che mi ha suscitato durante l’esperienza di gioco. Viviamo in un mondo molto lontano da quello di Monet, da Claude siamo passati al Cloud, è diventata la norma automatizzare qualunque processo della nostra vita consideriamo “bassa manovalanza”. Pat Naoum invece ha speso sette anni, pennellata dopo pennellata, a dar vita alla sua visione. Sono due anni in più di quelli che ha richiesto Tunic per diventare Tunic. Sono un’enormità di tempo. Soprattutto in una società pedal-to-the-metal come la nostra, incapace di fermarsi anche solo per dedicare a una cosa come The Master’s Pupil due righe da qualche parte.

Sette anni per creare una roba che nominalmente si esaurisce in 12 livelli. Una volta, una vita fa, li avremmo chiamati “quadri”. Ironia della sorte. Ho detto nominalmente perché poi in realtà quando finisce davvero un videogioco? Sto ancora pensando a The Master’s Pupil, anche se l’ho finito da un po’. Per tutta l’esperienza di gioco ho ripensato a Monet. È (credo) il primo artista di cui ho visto una mostra quando ero bambino, e ricordo un aneddoto di come ad una certa Monet stesse iniziando ad avere problemi di vista e a vedere il mondo più o meno come lo dipingeva nei suoi quadri.

Questo ricordo fa parte della longevità del gioco? Ogni volta che lo rivisito, annebbiato come può esserlo solo una memoria risalente alle elementari di una persona che ha passato i trenta, devo aggiungere qualche ora su How Long to Beat? Nelle epoche della mia vita che mi separano da quel ricordo, ho mai davvero battuto un videogioco visto che mi perseguitano ancora?

Giocare dei livelli platform dove Monet diventa level design ti porta a queste domande. È il ruolo dell'arte. E i videogiochi lo sono'

Vedi che non sono pazzo? Cioè. Sicuramente non sono a posto. Sicuramente utilizzo i giochini come surrogato di un aiuto psicologico di cui avrei decisamente bisogno. Però non è follia pensare ad un videogioco interdisciplinare. Al bello che può nascere dalla commistione di arti, alle cose che potremmo vedere e capire e raccontare se solo finissimo di misurare i giochini usando altri giochini. Condannandoli proprio per questo allo status di giochini, perché c’è molto di più a volerlo cercare.

Si potrebbe raccontare di quanto l’impressionismo assomigli un sacco al videogioco indie. Di come all’inizio non trovasse spazio nei salotti dabbene e si fosse organizzato in spazi autogestiti. Di come lo stesso termine impressionismo fosse nato per rivendicarsi quello che sulla lingua di chi l’ha profferito la prima volta voleva essere un insulto, perché non erano quadri ma solo un’impressione. E di come poi sia finito per essere inglobato nel sistema con cui s’era posto in antitesi, nella classica mossa che il capitalismo fa sempre in questi casi: appropriarsi della nostra libertà.

Si potrebbero dire un sacco di cose, partendo da The Master’s Pupil. Partendo da quasi qualunque videogioco, in realtà. Se solo volessimo farlo. Se solo avessimo il coraggio di rompere quelle catene per cui una recensione è un testo sacro che ti deve parlare di trama e gameplay e grafica, descriverti The Master’s Pupil come un puzzle platform a la Limbo basato sui colori e i quadri di quel Claude di cui hai letto sul cloud.

Si potrebbero. Quando iniziamo a togliere il condizionale allora?

quanto spendere
15 /15€
bignami per pigri
Oh, dura un cazzo, è bellino, ti sei giocato Limbo, puoi giocarti anche questo.
top&flop
> Ci ho visto delle cose.

> Non è detto ce le veda anche tu. Che è tipo il leitmotiv dell'impressionismo, no?