State per leggere una spiegazione del finale di The Last of Us Parte 2 che è ovviamente imbottita di spoiler. Più di quanto Abby sia imbottita di steroidi. Se non avete finito il gioco, beh, andate a fanculo. O sulla recensione di I Love Videogames, che è quasi la stessa cosa.
Il finale di The Last of Us Parte 2 è una storia di cicli mestruali finiti malissimo. Arrivati in fondo non si può che percepire il vuoto e l’inutilità delle 30 ore appena vissute, di quella forsennata corsa verso la vendetta che alla fine ha condannato Ellie a perdere tutto. È qualcosa che va al di là della morte di Joel, anche al di là di dover fare i conti con il lutto nel quotidiano. Dal rimettere piede in quella casa, con le animazioni di Ellie che non possono che farti venire voglia di entrare nel televisore e abbracciarla, fino al suo disturbo post-traumatico che la convince che non è finita.
Ellie alla fine del gioco ha perso tutto in cambio di niente, nel grande ippodromo che è la vita ha puntato sul cavallo sbagliato. E non le resta che reimparare a suonare la chitarra con due dita in meno, sapendo che quei suoni saranno invariabilmente diversi adesso. Peggiori. Come lei.
Ma andando con ordine. Succede che sostanzialmente Abby e i suoi del WLF accoppano Joel nelle prime due ore di gioco. Il perché diventa chiaro strada facendo: il padre di Abby era il medico che all’ospedale di Seattle doveva creare una cura partendo da Ellie, con l’effetto collaterale di ucciderla. Joel sostanzialmente scapoccia, ammazza tutti e la paga sul lungo periodo. Nel corso dell’esperienza, tra l’altro, scopriamo che Ellie sa. E uno dei motivi per cui il rapporto tra i due si è raffreddato è proprio questo. Joel ha condannato il mondo. Peggio, ha mentito dicendo che c’erano decine di immuni, che Ellie non era poi così speciale. Ha messo lei davanti al resto della razza umana, e proprio per questo l’ha persa.
Non ha rimpianti, Joel, ci dice che lo rifarebbe ancora e ancora. Perché alla fine un padre non può fare altro, nel momento in cui capisce che lo è non può che sacrificare qualunque cosa per sua figlia. Ellie non può perdonarlo. E anche questo è ineluttabile, perché alla fine non possiamo fare altro che essere noi stessi, niente di più, niente di meno. Però può provarci, ed è questo lo spirito con cui si apre The Last of Us Parte 2. Una Ellie incazzata che però sta cercando di ricostruire un ponte che si è bruciato, lo stesso ponte che Joel ha bruciato ad Abby ed Abby brucerà di nuovo a lei. Non scherzavo, quando parlavo di cicli mestruali finiti malissimo. Entrambe perderanno tanto, forse anche troppo. Ma alla fine è Ellie quella che ne uscirà davvero a pezzi, perdendo tutto per non ottenere niente.
Bignamino di tutto quello che succede prima del finale: Ellie va in modalità rampage e fa fuori tutta la cumpa di Abby. Il suo migliore amico, l’altro migliore amico con cui ad una certa finisce a letto, la sua attuale compagna che tra le altre cose è incinta. Non si salva manco il cane, con somma gioia della PETA. Abby non la prende benissimo, e inizia a braccare “i buoni”. Ammazza Kung Lao Jesse, spara in un occhio a Tommy e poi pesta a sangue Ellie. In quella che è letteralmente l’unica boss fight figa di tutto il gioco. Quando è li li per ammazzare Dina, incinta anche lei, però, Lev la riporta alla ragione con un solo sguardo.
È quello che è mancato ad Ellie, la volontà di spezzare il circolo di odio e andare avanti. Ellie è quello che sarebbe Snake senza Otacon, quello che è Sam nonostante Fragile. È l’importanza dei legami vista per sottrazione, escludendo i legami stessi dall’equazione. Il risultato è terribile. Non arrivateci mai.
Qualche mese dopo Ellie vive con Dina in una fattoria fuori Jackson, ma non le basta. Soffre di stress post-traumatico ed è ossessionata da Abby. Al punto da gettare via la sua felicità con Dina, rinunciare a quell’angolo di paradiso così faticosamente costruito dentro l’apocalisse, quando arrivano notizie che vogliono Abby a Santa Barbara, alla ricerca di quel che resta delle Luci. Segue l’ennesima missione di infiltrazione tattica dove Ellie scopre che Abby è stata rapita dalle Serpi (praticamente, un gruppo di schiavisti che vende gente), la salva e poi ci si scazzotta per l’ennesima volta sulla spiaggia di Santa Barbara. ‘Ste esclusive Sony devono finire sempre al mare insomma.
Alla fine della boss fight, Ellie ha finalmente l’occasione di vendicarsi di chi le ha portato via tutto. Tranne quello che le aveva già portato via Joel. È forse proprio questo, il motivo per cui Ellie decide di risparmiare Abby. Quell’ultima visione di Joel, quella dove parlano del loro rapporto con tutta la franchezza che è venuta a mancare prima, le ricorda che anche lei si era opposta all’odio. Quando Joel le dice che rifarebbe tutto Ellie risponde che non può perdonarlo, ma le piacerebbe provarci. Vuole spezzare la catena di odio che li sta legando così a distanza. È questo, il trigger che scatta e la porta a lasciare andare Abby.
Pagandone le conseguenze, perché The Last of Us Parte 2 sarà pure un prodotto sfacciatamente cinema, ma assomiglia molto di più alla vita vera.
Ellie torna alla fattoria con due dita in meno e ci ritrova solo le sue cose, la sua chitarra. Dina e la bambina sono andate via, perse per sempre, sacrificare su un’altare sacrilego come può esserlo solo la vendetta. Il finale di The Last of us Parte 2 è uno schiaffone, perché ti sbatte in faccia quello che sei: una merda. Una merda che cede al suo lato oscuro, alla rabbia, alla gelosia.
E sul lungo periodo questo ti porta a perdere tutto, a perdere tutti. A morire solo, senza dita, senza nemmeno la musica a confortarti.
Druckmann ti dice che sei un coglione e tu ti incazzi perché sai che è verissimo: lo sei.
Si. Ellie perdona Joel risparmiando Abby. È contorto, forse non ha senso, ma capisce che se era disposta a provarci quando era in vita il fatto che sia morto non vuol dire che le sia impossibile continuare. Joel ha ucciso il padre di Abby perchè doveva, non perché voleva. Quel gesto voleva salvare, pur condannando il resto dell’umanità. Uccidere Abby non avrebbe salvato nessuno.
Risparmiarla, forse, può salvare quel che resta di Ellie. Ha perso tutto, ha rinunciato alla felicità e alla vita per vendetta, per un fantasma. Per cercare di guarire da un disturbo post traumatico che comunque non sarebbe sparito con Abby. Quella di Ellie è una catarsi, e per quanto il finale del gioco la lasci immersa in una meritata disperazione, l’ultima parola non è detta…
Presumibilmente, Dina è tornata a Jackson dalla sua famiglia con la bambina. La stessa famiglia che avrebbe accolto senza remore anche Ellie ha sicuramente ripreso con sé Dina, quando a Dina non è rimasto altro. Dopotutto si era imbarcata in questo viaggio solo per amore di Ellie ed era stata contenta quando era finito tutto, pur avendo visto morire il padre di sua figlia. La fattoria non era che un tentativo di voltar pagina, andare avanti, guadagnarsi una normalità. Ellie ci ha rinunciato, ma Dina no. E ha ancora degli affetti a cui tornare.
Arrivati alla fine del gioco l’immagine del menu iniziale cambia. Mostra l’isola di Catalina e il suo caratteristico casinò, una barca attraccata su una spiaggia illuminata dal sole che va in contrasto con quella legata al molo tetro vista fino a quel momento. Vuol dire che Abby e Lev ce l’hanno fatta, hanno trovato le Luci. Hanno trovato la Luce, nonostante tutto quello che gli è successo. Hanno raggiunto gli altri e sono pronti a ricominciare, a farsi una nuova vita. Porteranno probabilmente per sempre lo stigma di quello che hanno perso, dei cari perduti e delle famiglie spezzati. Ma a differenza di Ellie hanno ancora tempo, possono ancora rifarsi. Possono imparare, andare avanti.
Qui si entra nel puro campo delle speculazioni. Sinceramente, dopo il primo The Last of Us era improbabile aspettarsi un sequel. Perché l’arco di Joel era abbondantemente chiuso e non aveva altro da dire, non a caso qui esce di scena nelle prime due ore. E perché il finale a suo modo era perfetto così, disilluso così. Egoista, come solo l’amore può e sa essere. E invece una generazione dopo siamo di nuovo qui, a mandare in pensione PS4 con il sequel del gioco che ha pensionato PS3. E questa volta immaginare che PS5 ci saluti, tra altri 7 anni, con un The Last of Us Parte 3, non è nemmeno così difficile.
In prima battuta perché Druckmann non ha chiuso alla possibilità. Ha parlato di nuovi progetti, mettendo The Last of Us Parte 3 sul tavolo delle possibilità. Se ci si aggiunge il fatto che la serie di Uncharted ha chiuso (quantomeno, Naughty Dog non ha intenzione di fare altri giochini della saga), non è così improbabile immaginare un altro sequel. C’è spazio narrativo a sufficienza, visto che l’arco di Abby rimane aperto. E potrebbe tornare in gioco anche Ellie, che magari dopo aver ricostruito con fatica quello che ha perso alla fine della Parte 2 deve scegliere se voleva davvero morire quel giorno, come ha detto a Joel.
È così improbabile che tra le Luci ci sia qualcun altro in grado di sintetizzare una cura partendo da un paziente immune? La narrativa di The Last of Us Parte 3 potrebbe essere questa: Abby che torna a braccare Ellie, questa volta per dovere e non per vendetta. Ellie che si trova a non poter accontentarla, perché non può abbandonare di nuovo chi l’ha perdonata.
Puttana maiala, se il finale di The Last of Us Parte 2 è buono. È un finale che ti fa incazzare, ti costringe a guardarti dentro e ti fa offendere fortissimo la mamma di Druckmann e tutte le presunte stagiste che si è scopato in motion capture. Si, il finale funziona quanto funzionava quello della Parte 1. Non è un bel finale, non è un happy ending. Spiazza, spezza, come ha fatto d’altronde il gioco per tutte le 30 ore (circa) necessarie per arrivare in fondo. Quindi è all’altezza delle aspettative e dell’esperienza. Sicuramente sentirete rabbia, arrivati a vederlo. Sentirete un senso di inutilità e nonsenso in quello che avete visto. Vi ricorderete che quando Ellie era alla fattoria avete spinto da davanti allo schermo perché andasse a cercare Abby, e poi quando l’ha fatto davvero avreste voluto fermarla rendendovi conto dell’errore.
È lo schiaffo che ci meritavamo, specie alla luce delle polemiche del cazzo che han dipinto il gioco come troppo politico, un Caparezza da suonare col Dualshock. Le polemiche sono state stupide, e fin troppo condizionate dai residui di Gamergate applicato ai giochini tripla-A. Non c’è nessun complotto lesbo-sionista-LGBT dietro The Last of Us Parte 2, la morte di Joel è funzionale alle vicende, Abby non è in realtà un trans (la vediamo scopare con un uomo, eddai) e in buona sostanza c’è politica solo finché la si vuol vedere. Poi oh, il finale di The Last of Us Parte 2 può starvi sul cazzo, è lecito. Io mi sono incazzato.