È successo di nuovo. Ne hanno, ne abbiamo abbiamo ammazzata un’altra.
E io mi trovo ad esorcizzare un demone che mi assilla da giorni, da quando Giulia Cecchettin è stata trovata e le certezze, non i dubbi, si sono ulteriormente, definitivamente riconfermate, tanto che ho deciso di scriverne, in una sempre più normale terapia del dolore.

Studiando Aristotele e la sua teoria del divenire, da ragazzino, avevo letto dei concetti di “atto” e “potenza”. Senza tediarvi oltre il necessario, ontologicamente la potenza precede l’atto; l’esatto contrario di quel che penso in ‘sti giorni, e cioè che all’atto segue l’impotenza. Una visione sbagliata, buia, pessimistica, tragica persino.

Una visione figlia di un contatore che sale, che resettiamo
ogni anno ma che non si resetta mai.

Che inizialmente non volevamo fosse diverso da zero, poi che non raggiungesse le due cifre, poi le tre, e che ora semplicemente vorremmo si arrestasse. Perché ogni +1 su quel contatore significa una sconfitta, un -1 per la nostra società, e noi tuttɜ vorremmo non solo un contatore in negativo, che segnasse cioè le persone, anzi le donne salvate, ma anche che quel numero minore di zero non fosse il risultato di una fredda somma algebrica di successi e insuccessi

Quando per strada ci conteremo,
vorremo esserci tuttɜ, non una di meno,
non una di meno…

Forse è strano che questo discorso arrivi da me: maschio, bianco e cis in accordo con la sacra triade del privilegio, gay ma con qualche vantaggio nei tiri della Vita TM. Lo è fino a una certa, però, dato che mi riconosco pure molto in quella Noemi che nel 2016 cantava della “borsa di una donna”, col suo cuore d’artista, idealista: un “cuore di ragazza ribelle che va a caccia di sbagli ancora“. 

Solo che non hanno sbagliato mai nulla, le donne, per meritarsi l’incubo ricorrente del femminicidio.

 

Ho sempre avuto molte più amiche femmine che amici maschi; fino a questo punto della mia vita, direi che ho seguito alla lettera il mio copione. Ma le “femmine” mi hanno sempre accompagnato anche fuori dal mondo reale, nella mia immaginazione e nelle fantasie generata dalle meraviglie dell’Animazione.
Un altro stereotipo gay: sono cresciuto, naturalmente, a pane e mahō shōjo (o Majokko, che dir si voglia).

Quando ero bambino c’erano le Superchicche e le streghette di Magica Doremi, poi sono arrivate le Pretty Cure, le Tokyo Mew Mew e, colpevolmente in ritardo, Cardcaptor Sakura e le ineguagliabili Guerriere Sailor. Racconti di potere in mondi dove l’impotenza non aveva un genere, dove la giustizia era femmina come ai tempi della Dike greca.

Un rischio calcolato, il mio, di raccontare di ragazze in costumi appariscenti: do not worry though, perché rimango pur sempre il Tagliaferri Giusto ™️. Tornando sul discorso, dopo le meraviglie a colori citate qui sopra, è arrivata una svolta inaspettata, per me, che mi ha travolto come un treno in corsa e mi ha lasciato sanguinante sui binari dell’emotional damage. Signore e Signori della corte, ovviamente parlo di Puella Magi: Madoka Magica (seguono spoiler del finale, occhio!!).

Era il Duemilaundici quando il Magica Quartet (Shinbō, Urobuchi, Aoki e Studio Shaft) raccontava di un mondo dove giovani ragazze venivano brutalmente uccise da un mondo bastardo. Era il DuemilaCREDICI, quando ancora pensavo che ci fosse una netta distinzione tra realtà e finzione.

Quando ancora non pensavo che il mondo reale fosse più grigio, e con molti meno colori dell’animazione giapponese.

C’è differenza, tra realtà e fantasia, e non voglio manco lasciare la possibilità che questo pezzo venga interpretato diversamente. C’è anche una differenza sostanziale tra quanto è successo a Giulia e a Madoka.

Giulia è stata ammazzata, una volta sola e nel mondo reale e da un uomo. Non da un mostro, da un uomo. Lei come le centotre vittime di quest’anno venute prima, in Italia, e come le vittime di femminicidio che arriveranno poi. 

Perché nel mondo reale la strega cattiva che ammazza ragazze magiche è un uomo. E come nella finzione, spesso distorce la realtà attorno a sé.

Davvero non credo ci sia altro da aggiungere qui, vienimi di nuovo a dire “not all men”.

Madoka, d’altro canto, è stata ammazzata innumerevoli volte, non una soltanto. Ma la sua fine, in ultima analisi, l’ha decisa lei: quando Madoka sparisce definitivamente dal proprio mondo, lo fa sacrificandosi affinché tutte le altre ragazze magiche possano avere salva la vita. Un unico desiderio: salvarle tutte, non una di meno.

C’è differenza anche qui, tra sacrificio e femminicidio, e io non dirò mai che spero che quello di Giulia sia stato un sacrificio affinché di ragazze non ne muoiano più (altro spoiler: mentre scrivo Giulia non è già più l’ultima istanza del contatore). Lo vorrei, ma sarebbe incredibilmente sbagliato parlare di sacrificio…

Vorrei solo imparassimo dagli errori che stiamo commettendo, come civiltà e specie dominante. Perchè se potessi esprimere un desiderio pure io, sarebbe lo stesso di Madoka; purtroppo, qui ritorniamo alla differenza tra la cruda realtà e la fantastica illusione.

Lo esprimo comunque qui, in questo mio piccolo spazio, perché davvero vorrei poterle salvare tutte.

Per Madoka, per Homura, per Mami, per Sayaka, per Kyoko.
Ma soprattutto per Giulia e per tutte quelle venute prima, e per tutte quelle che, lo dico col cuore spezzato e la voce rotta, verranno dopo…
E per quel desiderio che tutto questo finisca. Per scendere in piazza e trovarci tuttɜ.

Non una di meno. Non una cazzo di meno. 

Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?