Perché l’editoria italiana non vuole scommettere sui talenti italiani?

Ecco la mia “rabbiosa” domanda. Una domanda che in realtà ne contiene molte altre.
Da una parte sono consapevole di camminare sul “ghiaccio sottile”, per dirla come gli inglesi; dall’altra so benissimo che sotto non c’è solo acqua gelida ma un colossale iceberg di cui stiamo intaccando soltanto la punta, con i discorsi che si fanno riguardo al settore dell’editoria italiana. Non sto parlando a sproposito, ma con cognizione di causa.
Il perché lo faccio, poi, è perché mi sento enormemente amareggiata per come stanno andando le cose qui, e per come nessuno ne parla, preferendo fare buon viso a cattivo gioco.

Perchè il fumetto italiano ha così poca considerazione in patria?

Shojogate Un tot di giorni fa abbiamo mezzo scoperchiato un vaso di Pandora parlando della bolla manga in Italia. È venuto fuori che era un vaso da notte. Pure maschio ed etero.

E’ logico che non si sta parlando dei grandi autori, quelli che sono riusciti a emergere, tra difficoltà, talento e duro lavoro (e perché no, anche un minimo di privilegio). In un oceano pieno di pesci, c’è chi ha la fortuna di essere nato squalo, ma non si parla di loro. Qui si parla dei “pesci piccoli”.

Non si può dire neanche che il mercato sia fermo, o che non si voglia più correre il rischio editoriale. Forse molto meno di una volta, comunque: del resto i vari influencer di Instagram e TikTok e personaggi famosi del tipo “Grande Fratello” vengono pubblicati da Mondadori o Rizzoli con grande e immediata facilità… Ci stupiamo? No. Del resto, sono “autori” che hanno già avuto modo di fidelizzare il proprio pubblico e di prepararlo ad un prodotto del genere. Le case editrici in questi casi giocano in modalità facile, perché hanno i numeri e le statistiche dei social con cui confrontarsi.

E allora perché conosco aspiranti scrittori e scrittrici che, dopo mesi di lavoro battuto sulla tastiera, sono andati a questa edizione di Lucca Comics 2023 con il loro progetto unicamente per essere trattati come lebbrosi?

Perché se gli stessi autori e autrici, e mi ci metto dentro pure io, mandano un progetto ad una grande casa editrice come Feltrinelli la casella postale rifiuta in automatico il progetto poiché l’email del destinatario è satura?

Perché vedo colleghi e colleghe di talento, a me noti oppure sconosciuti, scappare per lavorare nel mercato francese? Davvero non c’ è speranza qui? E perchè mi sento così avvilita, e amareggiata, quando scopro che pure autori del calibro di Silver qui da noi faticano a proporsi agli editori? Forse perché penso che se non c’è spazio o possibilità per loro, a noi altri pesci piccoli non resta nemmeno che sperare.

Eppure le vedo, le contraddizioni: non è possibile che realtà come Ubik e Feltrinelli facciano a gara a chi ha la “libreria più lunga” nel reparto fumetti e manga, senza però che lascino uno straccio di contatto sui siti web per valutare nuovi progetti.

Le vedo, e non sono l'unica ad essersene accorta. Ma allora, perché nessuno ne parla?

Quando andai a Lucca Comics, nel 2017, mi sentii dire ai vari stand delle case editrici importanti che al momento non cercavano autori italiani, come dimostrava anche il fatto che nei loro siti il modo di contattarli fosse, ed è tuttora, inesistente.

E’ valutazione ed abbattimento del rischio, del resto, lo posso capire. Le grandi case di pubblicazione sono alla ricerca di guadagni sicuri, o comunque abbastanza safe. E allora si cerca soltanto di importare in Italia opere che all’estero hanno o stanno ottenendo grande successo, o autori e autrici già formati che per passaparola “all’italiana” girano tra le varie CE.

D’altro canto, vedo anche che il settore non è che di rischi non se ne prenda (e come potrebbe?): basti pensare alla recente polemica su Eris Edizioni e alla graphic novel illustrata con l’ausilio dell’intelligenza artificiale. E il confine tra le “nuove frontiere della tecnologia in ambito artistico” e le “nuove frontiere del risparmio sul lavoro umano” è ancora molto, forse fin troppo, labile.

Tante domande, insomma, che mi frullano nella testa. E poche risposte, forse. Troppo poche, sicuramente, per giustificare la terribile vista di giovani illustratori talentosi che, pur di farsi notare o veder pubblicato qualcosa di proprio, devono affiancarsi alla “vita illustrata” dell’influencer di turno, soprattutto quando persino agli eventi del settore che servono a mettere in contatto autori e disegnatori con i membri dell’editoria italiana, molto spesso questi si allontanano fingendo di non conoscerti, a te “pesce piccolo”.

E quindi ecco che ritorna il discorso del privilegio, perché se gli scouting si contano sulle dita di una mano allora ecco che l’unica possibilità diventa l’esclusiva di pochi; e allora contano i permessi dal lavoro e gli investimenti di denaro per viaggiare fino alle principali fiere, per non parlare dei mesi di duro lavoro così da avere un progetto decente da porre all’attenzione di qualcuno che puntualmente non c’è o che seccato si dilegua. E allora ecco che arriva la mia ultima domanda.

Possiamo accendere una piccola luce su questo lato buio nel mercato del fumetto?

È una realtà quella del fumetto in Italia in costante crescita (come dimostrano le vendite e i numeri sempre più folli delle fiere) ma priva di poter dare più possibilità a chi ancora non ha potuto salire sul palco, di avere la spotlight per un secondo, di avere una chance. Un palco che non è ricerca di un’eterea popolarità, ma di una possibilità di farsi vedere come qualcosa di diverso da un qualunque pezzo sostituibile del meccanismo editoriale.

Un palco per gridare “ci sono anche io”. O “ci siamo anche noi”.

Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?