A dirla tutta mi sembrava pure superfluo un secondo capitolo, che la storia di Senua poteva tranquillamente finire col primo e che un altro viaggio avrebbe rischiato di rovinare un capolavoro.
Perché sono un coglione. Ma in fondo, lo siamo stati un po’ in tanti.
Mea culpa, nostra culpa per aver pensato che Ninja Theory avrebbe dovuto ridipingere la Gioconda per replicare il successo del primo, per poi trovarci davanti l’Ultima Cena e non riuscire a dire nemmeno una parola.
E forse questo era quello che si meritava sto gioco, solo un rispettoso silenzio.
Non una parola sul combat system che “è troppo monotono”. Poco importa se ogni colpo di spada tirato da Senua lo senti attraverso i polsi. Senti la sua fatica, il suo dolore. La sua paura.
Non una parola sui suoi ambienti “troppo lineari”. Talmente lineari che in poche ore ti portano dalle scogliere assolate alle grotte più scure, dalla tranquillità della brezza fino alla fredda claustrofobia.
Non una parola sulla longevità, che dura troppo poco per quello che costa. Perché siamo talmente stronzi da pretendere di pagare 1€ per ora giocata. Scordandoci che a ore si pagano le scopate, non l’amore.
Forse non ce lo meritavamo Hellblade 2. Di sicuro non me lo meritavo io, che in sei ore mi ha aiutato quasi quanto anni di musica e letture sull’autoaccettazione. E pure un tot di terapia a dirla tutta.
Su una cosa avevo ragione: che Hellblade 2 non è come il primo. E manco doveva esserlo.
Perché nessuno dovrebbe essere obbligato ad essere come i suoi genitori.