Sapete no? Quella magia che rende i videogiochi quel prodotto spettacolare che sono. Quella cosa mistica, difficile da comprendere. Quella cosa che nei film stracciacojoni dicono che sia necessaria per vivere, e poi usano due note in sottofondo se va bene. E no, non parlo dei giochi che concentrano il loro gameplay sulla musica, in quei casi se ti dimentichi la musica sei da crocifiggere in sala mensa, ma proprio di quella leggera, sottile brezza che sfiora il nostro timpano mentre giochiamo.
Immaginatevi tutto come un grandissimo spartito. La vostra vita anche. Tutte righe e note su un foglio bianco. Figata… Più o meno. Perché così sarebbe effettivamente un pò una palla, alla fine le note sono sempre quelle, mono-tone per rimanere in tema.
Cosa da, allora, quel colore alla musica che ci fa dire “WOW! No, troppo bella sta cosaaaa, sono proprio io!” (Da leggere obbligatoriamente con un timbro vocale leggermente più alto del vostro, ruotando il sotto del braccio della mano dominante verso l’alto e lasciando cadere polso e mano verso terra.)
Io so che in cuor vostro sapete la risposta. Ma visto che sostanzialmente non hanno ancora inventato l’interazione su testo pre – scritto, anche se sarebbe un’ ottima definizione di videogioco in effetti, vi do io la risposta:
Ed ecco a voi la formula magica: lo spazio, il ritmo e il silenzio. Tre momenti che non solo condizionano lo spartito musicale, ma anche quello vitale di ogni essere umano.
Ma con i videogiochi che ci azzecca? Bene, esattamente come nella vita, anche i videogiochi hanno il loro spartito, che si compone, però, di tante note: meccaniche, grafica, trama, e tutte le altre mille cazzate che potete tirare fuori. Lo spazio, il ritmo e il silenzio tra questi elementi crea la musica del videogioco, bella o brutta che sia.
Ma non basta. Manca sempre qualcosa che c’è, qualcosa che poi rimarrà impressa nella nostra vita fuori dal videogioco, qualcosa che riusciamo a riconoscere a colpo d’orecchio anche quando non prestiamo attenzione e che amalgama tutto: la musica di gioco.
Esattamente, la musica di gioco, quella cosa che mannaggiaaglisviluppatoricani appena accendi il gioco è a palla e ti tocca abbassare subito il volume per non spaccarti le orecchie, mette in stretta correlazione lo spartito vitale e lo spartito videoludico.
Oh cazzo! Se penso ad alcune note su quello spartito videoludico… Sono convinto che a volte il mio cervello segua involontariamente quelle pause ormai.
Ecco che apro un cassetto, subito parte la musichetta di Zelda, con conseguente piroetta, mani al cielo, mutande sui palmi e gatto sul letto che mi osserva disperato.
Ed ecco che attraverso un prato e schivo le pantegane, che ormai bivaccano indisturbate a Roma, canticchiando la musichetta del Percorso 1 di Pokemon.
Ma se sono così speciali, perché vedo sempre più persone parlare solamenre di grafica, di personaggi e poche che parlano di musica? Perché all’E3 non mostrano potenti le musiche di gioco? Ma in modo vero, non con una mezza orchestra acchittata con due spicci.
Le voglio sentir rimbombare in tutta la sala, anche le più sconosciute, anche se si tratta solo di tamburi scrausi messi li ad accompagnare finte botte in bassa risoluzione.
Sapete che c’è? Tutto questo è un bellissimo discorso, ma forse ci stiamo facendo delle seghementali giganti. Forse, semplicemente, non ce le meritiamo.
Dopotutto, siamo la generazione che abbassa il parametro musicale del volume per sentire meglio da dove arrivano gli spari.
Dopotutto, a che serve sentire quella roba scelta appositamente per quel videogioco. Che tempo buttato… Potevano dedicarlo a programmare, che ne so, un orologio che mi indichi quanto è puttana la mamma del cecchino che mi ha ucciso da dietro, e che magari mi trovi anche il numero di cellulare.
È triste da dire, ma mi sa che non ce la meritiamo proprio questa cosa misteriosa e bellissima che chiamano musica.