SegheMentali L’odio che (non) ci costa

Quanto è facile scrivere su una tastiera

La rete è un posto di merda, e la causa siamo sempre stati noi utenti.

Per chi si fosse perso la cronaca recente, il TikToker Inquisitor Ghost, del quale eviterò di scrivere il nome e la provenienza, si è tolto la vita in seguito ad una tempesta mediatica che lo ha travolto e che lo ha descritto come pedofilo. Questa tempesta ancora non si è posata, e non è nelle mie intenzioni scriverne di più. Perché il cazzo di punto non è Inquisitor Ghost, ma l’utenza che lo ha spinto all’estremo gesto.

La stessa utenza tossica che vediamo ovunque, anche dove meno ce lo aspetteremmo

La rete è uno strumento, ed in quanto tale segue gli ordini che le vengono impartiti senza discutere. Il problema è che a volte, troppo spesso a dire il vero, chi preme i tasti non si rende conto di quanto può far male attraverso lo schermo. L’anonimato è un potere enorme e a portata di tuttə su Internet, non ci vuole veramente un cazzo a prendere un’identità a caso o crearsene una di sana pianta per poter vomitare odio e rancore a destra e a sinistra, sbattendosene allegramente delle conseguenze che questi possono causare a chi sta dall’altra parte. Ed è un fenomeno quotidiano, basta aprire i nostri social e farsi un giro di pagine per vedere quanto marcio c’è, e quanta gente non ha capito che ancora oggi, nel 2023, di social si può morire.

Cyberbullismo, NCII, Blackmailing. Non sono caduti dal cielo, sono opera nostra.

Cosa vuol dire NCII? L’acronimo sta per “Non Consensual Intimacy Imagery”, ovvero la condivisione non consensuale di materiale sessuale (anche detto La Mossa McQuack). Viene comunemente chiamato “Revenge Porn”, ma ricordiamo che le vittime di ciò di colpe non ne hanno, e non si meritano alcuna “vendetta”. Ringrazio di cuore Maura Saccà che ci spiega le cose e ci fa diventare persone più consapevoli delle parole che pronunciamo e scriviamo.

E avoja a cercare di sradicare un male che si estende in ogni anfratto della rete, dai social fino alle nostre console, dove fioccano messaggi di insulti dopo una partita persa su Call of Duty o una giocata sbagliata in lane su League of Legends, ma anche in giochini dalla componente molto meno competitiva. Di nuovo, il problema non è il gioco di turno, ma l’utente di turno che si sente nella posizione di dire e scrivere il cazzo che vuole senza conseguenze per se stessə, col puro e semplice fine di sfogare la sua rabbia e la sua frustrazione sullə poverə Cristə che passa il convento.

La rete ha un problema e ce l’ha da troppo tempo. Ce l’ha da quando chi ne ha accesso ha percepito che può quasi allegramente sbattersene i coglioni di chi c’è dall’altra parte, sia essə unə ragazzinə investito da delle accuse pesanti che, per quanto ne si sa, potrebbero essere false o una donna che si è fidata della persona sbagliata. Per i casi più gravi ci sono state conseguenze grazie al cielo, ma ancora troppo spesso leggiamo titoli di cronaca di persone che, spinte dall’esasperazione, hanno compiuto gesti estremi per sfuggire all’odio che arrivava loro sotto forma di DM o sulla propria bacheca social. Un odio figlio della frustrazione, di una narrazione a metà, di una notizia letta male, del fottuto sessismo o nonnismo o di tante altre cose. E a volte, più semplicemente, anche solo di un perverso piacere nel denigrare il prossimo.
E la cosa che più mi pare paradossale fa girare i coglioni di tutto questo è che troppo spesso mi sembra che questa gente non si renda bene conto di che potere hanno in tasca, di quanto male possano fare mentre muovono le dita sul display del loro cellulare.

Un display che troppo spesso assomiglia ad un Death Note, e con troppi Light Yagami in circolazione.