SegheMentali La Vita è uno Stadio

Odiamo gli altri. E la cosa peggiore è che ci va bene così.

Presente quella volta in cui la tua ragazza, il tuo amico o cazzonesò tua sorella ti ha raccontato di quando ha litigato con un anziano sull’autobus, e tu eri lì come un cazzo di avvoltoio ad aspettare il momento in cui la tua ragazza, il tuo amico o cazzonesò tua sorella avrebbe trionfato?

Presente quella volta in cui non hanno effettivamente trionfato, e la tua risposta è stata riempire di insulti l’altra parte, perché era l’unico modo per ottenere un po’ di giustizia? Perché era l’unico modo per raggiungere una risoluzione. Perché sotto sotto odiamo gli altri.

Non c’è niente di strano. Lo fanno tutti. Tutti cercano di risolvere qualunque conflitto. Che sia perdere una spazzola o un amico.

La vita è un cazzo di stadio.

T’oh, piglia ‘na spazzola.

Per l’amico purtroppo c’è un cazzo da fare.

Perché ci innervosiamo quando il collega o il compagno di banco ci mette trenta cristo di anni ad arrivare al punto della sua storiella. E il fatidico punto della storiella è spesso il sangue, un litigio, un conflitto, qualunque cosa ci risollevi dalla mediocrità e dalla monotonia delle nostre vite del cazzo.

“Sì, ma quindi che è successo?” gli chiediamo. Vogliamo sapere, e sia mai che suoni la campanella o finisca la pausa pranzo sul più bello. Passiamo il resto della prossima ora a cercare disperatamente un momento per riprendere la conversazione, per riaccendere gli animi, per arrivare alla risoluzione della storia.

Lo vogliamo vedere incazzato. Perché vogliamo odiare gli altri. E quindi abbiamo bisogno di incazzarci anche noi.

Si potrebbero fare mille pipponi sul fatto che noi esseri umani abbiamo un bisogno innato di ascoltare, leggere e scrivere storie. Insomma, praticamente ne sto scrivendo una anche in questo momento, e voi poveri stronzi state ascoltando. Però è troppo facile, così. È troppo facile vedere il bello in tutto.

Il difficile è accettare che facciamo schifo.



La vita è un cazzo di stadio. E noi siamo nella curva Ultras.

Passiamo i momenti morti della giornata sui social, a cercare commenti salati sotto i post più controversi o a scriverli noi stessi. A volte buttiamo lì il sasso, rispondiamo un paio di volte, poi ciaone. Perché ci hanno fatto ridere, ci hanno fatto capire quanto siamo migliori, giustificano le nostre stesse opinioni. È così che ci sentiamo migliori.

A prendere per il culo gli altri.

A tifare per Sony quando Microsoft annuncia un frigorifero.

A difendere CD Projekt RED quando rinvia Cyberpunk di mesi.

A dire che Multiplayer è un sito di merda.

Siamo tutti bravi a insultare i leoni da tastiera, quelli che fanno i gradassi dietro uno schermo e poi nella vita tutti coglioni. Noi siamo migliori di loro, ci diciamo.

Noi. Che a volte neanche ci prendiamo la briga di difendere un cane. Noi che al massimo ci limitiamo a piazzare un minuscolo, schifosissimo, insignificante Like alle risposte che ci piacciono di più. Perché ci fanno sentire realizzati. Odiamo gli altri, e questo ci fa sentire completi.

Perché la vita è un cazzo di stadio. E noi abbiamo bisogno di qualcuno per cui tifare.

Ci serve, prendere le parti di qualcuno. È l’unica cosa che ha un cazzo di senso.

Altrimenti, tutto quello che ci resta è solo un noiosissimo lavoro, una casa con un mutuo da pagare, o l’ennesimo videogioco comprato in sconto su Steam che — ovviamente — non apriremo mai.

Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?