È la prima volta che parlo su queste pagine di un titolo che mi ha lasciato così tanto. In questi casi fare qualcosa di aulico e pettinato è facile, scrivi una recensione infarcendola di paroloni come “viscerale“e “totalizzante” e la porti a casa in scioltezza. Siamo maschi, ce lo misuriamo dall’adolescenza: le gare a chi ce l’ha più lungo si fanno tranquillamente pure col vocabolario. Quando il materiale di partenza poi è uno dei titoli più importanti usciti nell’ultima decade e un capolavoro senza se e senza ma, ti senti quasi in dovere di competere sullo stesso piano. Avrei potuto zuccherare un po’ il giudizio, tenendo presente che stiamo parlando di qualcosa che se non lo giocate fate un torto a voi, a Ninja Theory e all’umanità tutta, ma qua su Gameromancer usiamo solo dolcificanti industriali. Quelli che nuocciono gravemente alla salute.
Indie Tripla-A L’idea dietro l’etichetta “Indie Tripla-A” è quella di sviluppare un titolo tecnicamente a livello di un Tripla A, ma con un budget ridotto. Come? Limitandosi all’essenziale. Niente fuffa, solo una storia da raccontare in qualche ora.
Ancora una volta chi è davanti allo schermo viene costretto a violare Senua, finendo non nella sua pelle ma nella sua testa. È incredibile, come a distanza di due anni e con ancora negli occhi le polaroid scattate su PS4 Pro nell’agosto del 2017, Ninja Theory mi abbia steso con la stessa forza della prima volta. Quando su un altro sito chiedete perché un certo titolo è un capolavoro, la risposta è qualche fuffata pseudo-accademica che parla di impatto culturale, influenza sul mercato, mentalità. Hellblade ha e fa tutte queste cose. Ma è un capolavoro perché trasmette il suo messaggio di disagi, disturbi mentali e autoanalisi alla perfezione, non perché è il primo esempio di Indie Tripla-A o qualche supercazzola del genere. E riesce ad arrivare nella testa e nel cuore di chi gioca – per poi rimanerci per mesi, come potrebbe fare solo una hit di Michael Jackson con le classiche musicali – anche su Switch, nonostante le limitazioni tecniche. Nonostante in generale Switch non sia la piattaforma più adatta a quello che di fatto è una Divina Commedia Ludica, Inferno e allegorie comprese. Il problema è che Hellblade è un’esperienza a cui bisogna dedicare tutto, visto che Senua si concede in tutto e per tutto al giocatore. Si è cacciati a forza nella sua testa, e li bisogna rimanere per tutta la durata di questo viaggio ad Hel, il più isolati possibile dal banale mondo di carne che abitiamo nella vita reale. Cuffie, luci spente, cellulare in silenzioso e nessuna distrazione. Tutte cose che si sposano veramente male con l’idea di “gioca un po’ dove cazzo ti pare” che è il selling point di Switch.
Eppure il porting era doveroso lo stesso, sono contento lo stesso che sia uscito, di averci rigiocato e che sia la prima rece scritta su una copia arrivata dallo sviluppatore – a chiudere un cerchio, visto che l’altra volta ero stato più veloce delle email dello sviluppatore.
Hellblade va giocato a qualunque costo. Anche su Nintendo Switch, se non avete a disposizione altro.