SegheMentali God of War Ragnarok è comunque meno more of the same di te

La dittatura del politicamente corretto ci ha imposto Thor grasso e l'ha fatto diventare God of War Magnarok. Solo che in realtà dovremmo parlare di Gowmergate

Ci sono il crunch, il politicamente corretto ed il Gamergate…

Che sola ‘sto God of War Ragnarok, pare un DLC da 40 ore. È il prototipo del more of the same e insomma già ci siamo cacati il cazzo, ‘che qua vogliamo i giochini nuovi però possibilmente non troppo nuovi perché leggere un nome famoso sulla copertina ci dà quella sicurezza necessaria per cacciare 80€.
Poi dai, vogliamo parlare di Angrboda del colore sbagliato come Anna Bolena? O di Thor con la panza da birra? Me lo hai infilato a tradimento nel secret ending del primo capitolo, c’avevo delle aspettative c’avevo.

La dittatura del politicamente corretto l'ha fatto diventare God of War Magnarok. Solo che in realtà dovremmo parlare di Gowmergate

Saltare lo squalo È una locuzione che deriva da Happy Days. La qualità dello show ha iniziato ad andare a troie poco dopo l’episodio in cui Fonzie salta uno squalo. A GoW succede più o meno la stessa cosa, ma con meno giacche di pelle.

Partiamo dall’inizio. E dalle cose facili perché sono più direttamente legate al giochino senza poi troppa politica di mezzo. Sì, dopo aver visto il trailerone al PS5 Showcase possiamo dire che c’è una discreta probabilità che God of War Ragnarok sia un more of the same. Chiarito questo, ad eventuali very giornalisty che stanno lurkando il Sacro Blog della Ribellione™, vorrei dire che magari invece di prendere per il culo gli sciocchi villici che si lamentano di questa cosa sarebbe il caso di dare un contesto del perché sembra effettivamente un DLC da 40 ore e 80€ del GoW 2018.

Il contesto è presto detto: Santa Monica ha già smontato e ricostruito da zero la serie per il primo capitolo. Dopo God of War 3 la benza era finita. E infatti vi vorrei ricordare quanto God of War Ascension abbia sostanzialmente fatto cacare a tutti quanti. Kratos pareva aver detto tutto quello che c’era da dire e diciamocelo, la trilogia comunque non è che pad alla mano fosse mai stata qualcosa di incredibile. Una volta usciti dalla fase prepuberale e capito che dai chiusa la storyline del Pantheon greco avevamo saltato lo squalo. È più o meno a questo punto che Cory Barlog torna in Santa Monica e butta via tutto per ricominciare da zero.

Ed è più o meno a questo punto che tocca tirare fuori il Manifesto di Marx

Per tirare fuori God of War 2018 Barlog esce scemo. Per buona parte dei cinque anni di sviluppo metà del team non lo segue. I cambiamenti sono troppo estremi, questo Kratos non è più Kratos. Santa Monica è ancora legata al rumore e al furore del Fantasma di Sparta. Quasi che il finale di God of War 3 non abbia significato perché è Santa Monica stessa a non voler andare avanti. A molti non piace nemmeno quanto di suo Barlog sta mettendo nell’opera, al punto che la presenza di Atresus in-game è messa in dubbio per buona parte dello sviluppo. Atreus è calcato su suo figlio ed è il legame che c’è tra Barlog e la sua storia.

Chiunque abbia mai provato a fare qualche tipo di contenuto lo sa, è inevitabile che qualcosa di chi sei finisca in quello che fai. Lo rende più autentico ed è il filo che ti permette di dare così tanto della tua vita a qualcosa che la vita non può fare altro che imitarla. Rileggi una vecchia intervista del 2019, a gioco ormai uscito e pluri-premiato come GOTY, e leggi le peripezie che ci sono dietro quello sforzo. Leggi quanto male s’è vissuto Barlog tutto il processo. Per lui il suo lavoro è di fatto rendere miserabili quei colleghi con cui passa anche 10-12 ore al giorno.

Un game director nella mia testa è qualcuno che fa sentire infelice tutto il team per la durata del progetto
– Cory Barlog

Cory Barlog dopo lo sviluppo di God of War va in burnout. Al punto che God of War Ragnarok non è diretto da lui. Ha lasciato il posto a Eric Williams, rimanendo comunque Creative Director di Santa Monica mentre lavora ad un progetto non annunciato. Lontano dalle telecamere, dallo stress e dalle minacce di morte di quell’utenza forcaiola che prima si lamenta se assumi Alanah Pearce e poi, non paga, la incolpa pure per il ritardo del gioco. Cory Barlog, soprattutto, divorzia.

Prova a pensare cosa possa voler dire per un padre passare più tempo con il suo figlio virtuale che con quello reale. Cosa può voler dire per un figlio accontentarsi di un genitore a tempo determinato, che di punto in bianco sparisce perché lo show deve andare avanti. È dura, non vedere tuo padre per due mesi di fila mentre cresci. Mentre ne avresti un bisogno fottuto e allora secondo lo stereotipo ti cacci in ogni casino possibile per attirare l’attenzione. Non so se lo puoi capire, spero di no. Spero che i tuoi figli non debbano capirlo mai. Spero che i miei figli non debbano capirlo mai.

Ecco quanto costano i videogiochi. Non 80€, ma vite, famiglie e felicità

È un’industria che non è sostenibile. Per fare quei giochini che poi andiamo a review-bombare su Metacritic gli addetti ai lavori rinunciano a tutto. È quasi la stessa cosa che arruolarsi nell’esercito. Non rischi di essere ammazzato da qualche terrorista o di ammazzare qualche iracheno procedurale, ma il male che fai a chiunque ti stia attorno è lo stesso. Dici ma almeno li pagano. E ok, però stiamo arrivando alla non sostenibilità anche da quel fronte. Un Tripla-A PlayStation Studios costava mediamente 100 milioni di dollari, su PS4. Per la stessa operazione su PS5 si prevede un raddoppio dei costi. A fronte di cosa? 10€ in più del prezzo di copertina. Fai i conti. Non mi paiono delle premesse per cui si tenda a guadagnare di più, anzi.

La nostra reazione davanti a questa storia è la solita. Pago quindi pretendo. Voglio le nuove novità nuove a tutti i costi, però sulla copertina mi ci devi mettere un numero 2 o 3 o 4. Perché il sequel mi fa rimanere tranquillo, io lavoro e quando spendo 80€ in giochini che chi ha sviluppato non ha il tempo di giocare voglio la garanzia che mi piacciano. Vogliamo un altro giro all’All You Can Eat e non abbiamo nemmeno l’onestà intellettuale di ammetterlo. Perché i dati di vendita parlano chiaro e alla fine della fiera ti ricompri GTA V su PS5, non vai a dare i soldi ad Housemarque per Returnal. Un loop di giochi tutti uguali dove il more of the same è un non detto, un segreto sporco quanto una malattia venerea. O quanto il nostro razzismo.

Perchè in tutto questo l'unico vero more of the same si chiama Gamergate

Gamergate Di Gamergate in Italia s’è parlato colpevolmente poco. Noi purtroppo nel 2014 non c’eravamo. Nel 2020, quando è scoppiato tutto il casino attorno a The Last of Us Parte II, però anche sì.

La Angrboda dell’universo narrativo di God of War è nera. 4Chan perde la testa. E non solo 4Chan, che per la cronaca sono quelli che nel 2012 dicevano di combattere per l’intregità del giornalismo dei giochini (LOL) e in realtà volevano semplicemente cancelculturare Depression Quest. Si incazzano i suprematisti bianchi, perché la mitologia norrena è roba loro. Più o meno la stessa mossa di CasaPound che si appropria di un simbolo culturale come Capitan Harlock. Si incazzano quelli che difendono il politicamente scorretto, iniziando a parlare di gettone di presenza e minoranze incluse a tutti i costi. Sclerano pure i very giocatory perché Thor mo c’ha la panza e insomma, finché è la macchietta stile Grande Lebowski di Endgame va bene, ma qua si prende sul serio.

Non so se lo avete notato, ma i rigurgiti del Gamergate continuano a tornar fuori a frequenza sempre maggiore. Continuiamo a dirci che dai, è una cosa del 2014, morta e sepolta. Solo che di morto e sepolto c’è un gran cazzo. Aloy viene prima umiliata con una face rework mod e poi sbattuta sui meme perché pare che sia ingrassata. The Last of Us Parte II viene spacciato come troppo politico e si criticano le scelte di trama per malcelare il fatto che ci dà noia giocare nei panni di una lesbica. O peggio ancora di un armadio a muro tipo Abby. Per qualche bel direttore diventa pure sbagliato punire quelli della Cosby Suite perché dai, sono due battute innocue che non fanno male a nessuno. A parte alle stronze che con quegli imbecilli devono lavorare le summenzionate 10 ore al giorno.

Quindi sì. God of War Ragnarok è un more of the same. O così sembra per quanto abbiam visto ora. Ma la cosa davvero importante sarebbe chiedersi perché. E la cosa davvero grave è che il vero more of the same siamo noi, che non vogliamo accettare che i videogiochi stanno diventando più inclusivi.

E proprio per questo dovremmo esserne esclusi noi.