Metroidvania è un umore, uno stato mentale, un’etichetta che affibbiamo a tutti quei giochini a piattaforme che vogliono urlare il loro ampio respiro. Non una codifica, ma uno stile.
E lo stile inevitabilmente finisce per potersi declinare all’infinito, reinventandosi, seguendo le mode e riportando in auge ciò che non è morto perché in eterno può attendere.
Symphony of the Night e Super Metroid non c’entrano un cazzo uno con l’altro. Cazzo, Castlevania a tratti è pure un RPG. Con il Big Bang del fenomeno indie abbiamo scoperto nuovi pianeti, nuovi stilemi, nuovi approcci per quella che ci ostiniamo a definire la stessa cosa. Nuovi Vangeli per la stessa religione. Perché se il metroidvania è la parola di Dio chi lo interpreta su pixel e poligono allora ne è apostolo, mandato sulla terra con la missione di diffondere il Verbo. Anche a costo di distorcerlo, ‘sto cazzo di Verbo. Perversioni alla Sodoma che mettono in dubbio la parola del designer e abbracciano il procedurale. Metroidvania non è un genere.
È un testo sacro che ogni dev interpreta a suo modo e poi noi, noi giocatori interpretiamo a nostra volta. Ogni partita è una preghiera, ogni run manda a memoria le parole del Pater Noster finché la liturgia non è perfetta.
L’anno zero del metrodvania cade tra il ’94 e il ’97. Escono prima Super Metroid e poi Castlevania: Symphony of the Night, che la storia del videogioco ritiene i capostipiti di tutto il non-genere metroidvania. Al netto del fatto che trattasi di due giochini che non c’entrano un cazzo uno con l’altro, in realtà il seme della non linearità nel platform era già stato piantato. Il primo Metroid, Anno Domini 1987, ti fa andare a destra come un Super Mario qualunque per poi piazzarti lì un muro che dice “mo t’attacchi“.
E a dirla tutta un passo verso questa direzione arriva pure da dove meno te lo aspetti. Sonic the Hedgehog è un platform che con il manuale di Game Design scritto e interpretato da Shigeru Miyamoto ci si pulisce il culo. E infatti una delle tante idee in rottura con Super Mario è la non linearità del livello, nel senso che sì, vai da A a B, ma in mezzo puoi seguire più percorsi. È il naturale corso della vita, davanti a un’idea nuova nascono i suoi cloni, ma anche i suoi predatori. Chi partendo da quello spunto vuole sovvertire l’ordine naturale delle cose, o semplicemente portarla su una strada diversa. I metroidvania nascono proprio per questo: non-linearità guidata in opposizione alla linearità del platform classico.
Siamo stati sfortunati, cronologicamente parlando. La Terra, quando abbiamo appoggiato piede per la prima volta su di essa, era già bella che esplorata. Battuti sul tempo nell’esplorazione dello spazio dai Marco Polo, dai Cristoforo Colombo, dai Magellano. Non c’era più nulla da scoprire quaggù e lassù, beh, per andare lassù è ancora troppo presto. Lo Spazio con la s maiuscola non è ancora navigabile come i mari e gli oceani. Siamo nati troppo presto. E allora non ci resta che esplorare gli spazi virtuali concepiti da qualche designer impazzito. Davanti a una fame che non sapevamo come saziare abbiamo risposto metroidvania. È per questo che forse è un genere senza regole vere e proprie.
Non è una questione di diritto di nascita, non solo. Super Metroid come detto era una cosa che c’entrava un cazzo con Symphony of the Night, un RPG dove se non ce la fai ti metti li a grindare come un bastardo. È una farsa, perché i videogiochi altro non sono che bugie molto elaborate. L’RPG ti dà l’idea di progredire perché livelli e aumentano le statistiche, ma sei davvero migliore ad ogni level up? Super Metroid provava a renderti tale mettendoti davanti alla sfida. Prova e riprova, trial & error finché non capisci il pattern. Dread alla fine non è che la sublimazione di quest’idea qui, un puzzle sotto coca dove i pezzi da incastrare sono le mosse di Samus.
È una farsa anche la non-linearità, perché i design ti guida. E dietro il design c’è un designer che ne è artefice e architetto. Se è un cane l’illusione crolla com’è crollato Control. Perché sì, il metroidvania può essere anche 3D e Sam Lake c’ha provato, col risultato di risultare dissonante. Se sei sgamato puoi fare di tutto. E tolta la parentesi dei primi anni zero, dove il metroidvania ha vivacchiato solo su Game Boy Advance, abbiamo visto succedere di tutto. Chi s’è sempre fatto sostanzialmente i cazzi suoi come Shantae. Chi si è inventato un metroidvania western-steampunk basato sulla meccanica di scavare e generando la mappa in modo casuale ad ogni nuova run. C’è chi si è ibridato davvero col procedurale e chi ha guardato dalle parti di Dark Souls, che a sua volta aveva guardato dalle parti del metroidvania per trovare la quadra sul suo level design.
La mappa è quella lì. È come quando ti trasferisci in una nuova città e cerchi dei punti di riferimento per orizzontarti, e poi ti rendi conto che casa tua sta dietro quella pizzeria dove ti han portato la sera prima. Tiri una leva e il meccanismo che prima era bloccato apre uno shortcut, e adesso puoi tornare indietro senza dover girare tre quarti della mappa. Il muro non è dato dalle abilità che hai sbloccato, ma dagli oggetti o dal semplice fatto di essere arrivato dall’altra parte. È più soft, apocrifo appunto, ma From Software ha sicuramente guardato dalle parti del metroidvania per Dark Souls e per Bloodborne.
Hollow Knight che torna sulla stessa strada facendosi ispirare da chi è stato ispirato dal suo genere di appartenenza è una chiusura del cerchio. A volte la storia dei videogiochi non è lineare, un metroidvania dentro un altro metroidvania che diventa un gioco di scatole cinesi.
È un po’ contorto, un po’ blando, e infatti si finisce per metterci dentro anche cose che non c’entrano. The Messenger non ne fa parte perché non basta che ci sia il backtracking per rendere un platform votato all’esplorazione. Super Mario 64 non lo è, perché le aree di fatto sono interconnesse solo tramite un hub centrale e allora a questo punto ci mettiamo dentro pure Demon’s Souls. Lo senti a pelle, se stai giocando un metroidvania o no. È un istinto che si raffina di partita in partita, di titolo in titolo. Ce ne sono tanti. Una marea. C’è addirittura un capitolo di Kirby che c’ha provato e c’è riuscito, a riprova che la questione non è dire a chi sta dall’altra parte Git Gud.
Metroidvania vuol dire libertà. Soprattutto per lo sviluppatore, che è libero di giocare, sperimentare, divertirsi. Esce tanta merda, perché inevitabilmente quando cucini senza ricetta capita. Ma è ripagata ampiamente dalle ciambelle che il buco ce l’hanno eccome. Il metroidvania è l’equivalente ludico del panino. Nessuno ti direbbe mai cosa ci va dentro o no, non c’è una regola, non c’è una psicosi come per l’ananas sulla pizza o il philadelphia nel sushi. Tra quelle due fette di pane puoi fare quel cazzo che vuoi.