Si parla un sacco di dissonanza ludonarrativa ultimamente. Il perché è molto semplice, in realtà. È semplicemente un riflesso pavloviano dovuto al fatto che ci stanno insegnando che la narrativa è tutto. Pensiamo ai titoli che la critica ha portato in trionfo negli ultimi anni: è facile tracciare un filo rosso che li collega, e questo filo rosso è dato dal fatto che volevano raccontare una storia.
È la solita vecchia storia che vede i videogiochi raccontati con l’invidia del pene nei confronti del Cinema: se c’è dissonanza ludonarrativa, semplicemente non puoi competere con un medium che invece non è dissonante. Al massimo si appella alla sospensione dell’incredulità.
I videogiochi però non sono Cinema, sono sogni. E i sogni vivono di dissonanza ludonarrativa
Si parla di dissonanza ludonarrativa quando una meccanica di gioco va in contrasto con quello che il videogioco racconta. L’espressione è una parrucconata, ma il concetto è valido. È una cosa che si verifica spesso e che sicuramente abbiamo vissuto tutti. Prendi qualunque videogioco Open World e trovi una marea di dissonanze ludonarrative, perché non è normale che Gerardo di Rivia si metta a giocare a Gwent per 85 ore sapendo che sta arrivando la Caccia Selvaggia. Il gioco racconta una cosa e poi te ne fa giocare un’altra? Dissonanza ludonarrativa. E va bene, è corretto. Quello che non va bene è il fatto che sia percepita in tutti i casi come un difetto.
I videogiochi sono sogni. Ne abbiamo già parlato, dal punto di vista strutturale assomigliano molto di più a quelle immagini che il nostro cervello genera mentre dormiamo che ai film. Spesso gli specchi non riflettono, le scritte non sono leggibili. Soprattutto, pad alla mano troviamo perfettamente sensate cose che nel mondo reale non lo sarebbero. I videogiochi sono mondi con delle regole proprie, che non devono per forza di cose coincidere con quelle del nostro. In Metal Gear Solid Hideo Kojima ha deciso che se ti nascondi in una scatola le guardie non ti vedono? È così, punto. Non deve aver senso davanti allo schermo, deve avercelo dietro.
Se una dissonanza ludonarrativa arricchisce il gameplay, fa parte delle regole del mondo di gioco
È una dissonanza ludonarrativa perché noi, osservatori esterni, la percepiamo come tale. Ma se il gioco ti permette di farlo allora va bene così. Nathan Drake si fa scrupoli ad uccidere i personaggi chiave della storia ma poi tra una cutscene e l’altra fa stragi? Non ha senso per noi, ma state sicuri che se steste sognando Uncharted avrebbe senso. E anzi, ha senso anche pad alla mano, perché è qualcosa di cui ti rendi conto solo a posteriori. È come quando ripensi a cosa hai sognato e allora, solo allora, ti accorgi che è nonsense. È quello che il prof. di Fisica delle superiori voleva spiegarvi a tutti i costi, solo che siccome parlava di Fisica anche chissenefrega. Dipende dal sistema di riferimento: spesso e volentieri una dissonanza ludonarrativa è tale solo se la osserviamo da fuori, perché dentro il gioco non ce ne accorgiamo.
Visto da fuori è ridicolo che in Breath of The Wild – il gioco per cui hai pisciato Horizon, ricordiamolo – Link possa perdere tempo ad andarsi a cercare tutti i Semi Korogu mentre la fine incombe. C’è Zelda che lo aspetta da 100 anni, che sta tenendo la Calamità Ganon per quanto possibile confinata nel castello. Potrebbe cedere da un momento all’altro, e ‘sto stronzo si mette a pescare e a fare altre stronzate random, più o meno collegate alla trama. Se fosse un sogno andrebbe bene così, tant’è che giocando non percepiamo nessun disagio né nessun senso di colpa nel lasciare Zelda da sola per qualche ora. È una dissonanza ludonarrativa che ha senso perché arricchisce il gameplay, lo giustifica in qualche modo. Senza di questa, il gioco sarebbe molto più povero.
Sostanzialmente tutte le dissonanze ludonarrative che non arricchiscono il gioco sono un difetto. Proprio perché si va a creare un contrasto, un nonsenso, che non ha nessuna motivazione più alta. In Control i nemici di altre aree iniziano a spawnare ovunque dopo che hai visitato per la prima volta una zona? Non ha senso, non è spiegato e non è migliorativo. Ti crea un disagio, senti che c’è qualcosa che non va. E a quel punto ecco che hai una dissonanza sbagliata. È come accorgersi dentro un sogno che quel che succede non ha senso, quindi si sta sognando. Ci si risveglia, più o meno letteralmente. A meno di non essere viaggiatori astrali assuefatti al concetto di sogno lucido, a quel punto di solito si torna nel mondo reale.
È li che la dissonanza ludonarrativa è sbagliata, perché ti ricorda, ti fa ricordare, che stai giocando. Che non sei Link, non sei Nate. Sei uno stronzo qualunque che sta passando la sua domenica pomeriggio davanti ad uno schermo 50 pollici. Il videogioco si allontana dal sogno e smettere di essere tale, smette di comunicare a livello emotivo con te. Perché non empatizzi più. È come se stessimo giocando a nascondino senza l’ansia di essere trovati, il brivido della tana libera tutti che di fatto è un game over nel mondo reale.