Parlando di archivio dei videogiochi, questo podcast non sarebbe stato possibile senza il contributo di Read Only Memory e Bitmap Books. A loro vanno i nostri sentiti ringraziamenti soprattutto per l’amore e l’impegno riposti nel lavoro. Casomai vi interessasse spendere bene i vostri soldi (per una volta), ne han parlato nel dettaglio quei fighetti di I Love Videogames.
Non frega un cazzo a nessuno, del problema della conservazione e preservazione dei videogiochi. E non solo dei videogiochi in quanto prodotto, ma come memoria collettiva, come finestra sul passato. Perché – se davvero pensiamo che i videogiochi siano arte – non ne studiamo la storia? Eppure se vogliamo che il medium cresca, catalogare la storia dei videogiochi è un passaggio fondamentale. Guardiamo sempre (troppo) al Cinema, come un bambino che vede il padre farsi la barba e appena esce dal cesso gli frega le lamette per provare a radersi. Su questo però no, non ce ne frega un cazzo: vogliamo vedere i videogiochi soprattutto come prodotto, non come oggetto di cultura. Vogliamo che gli sviluppatori ci raccontino una storia di pura invenzione, non la loro autobiografia.
Ci avete mai pensato, che a livello di storiografia dei videogiochi la console war noi non l’abbiamo mai vista? Praticamente ogni generazione della storia del videogioco è stata a senso unico. NES ha aperto il culo al Master System, PlayStation e PlayStation 2 hanno arato qualunque competitor. PS4 ha annichilito One (Wii U? HAHAHAHAHA) e, anche una generazione finita quasi alla pari come la settima, ha vissuto una prima metà di dominio di Xbox 360 e una seconda metà dove PlayStation 3 a recuperato. Mentre Wii cacava in testa ad entrambe. C’è praticamente sempre stata una macchina dominante, quindi che cazzo parliamo a fare di console war?
Tra l’altro, la macchina dominante non è mai stata la più potente sul mercato. Hai voglia a fare il marketing sulla console più potente della storia o sul Genesis che does what Nintendon’t. Ecco, l’unica vera console war è stata quella, SNES contro Mega Drive (che in America si chiamava, appunto, Genesis). Il resto ce lo abbiamo giusto noi in testa, in quella memoria inaffidabile che continuiamo ad evocare quando ci fa comodo. Vedi perchè ci serve, un archivio della storia dei videogiochi?
Ma solo perché PlayStation 5 e Series X si stanno ancora studiando, non sono partite nemmeno le schermaglie iniziali e non abbiamo nemmeno visto le schermate di avvio. È una Guerra Fredda, una Cortina di Ferro che dividerà la popolazione videogiocante, ma non abbiamo ancora le basi per scegliere da che lato stare. Si, magari stai pensando che tu sei sonaro da 30 anni ed è palese che comprerai PS5, però magari a sto giro i biglietti per PhilSpencergrado costano meno e toccato nel portafoglio vacilli. Anche perchè diciamocelo, Microsoft è l’unica che si sta occupando seriamente della preservazione dei videogiochi. Xbox è l’unica macchina dove i videogiochi sono a lunga conservazione, e puoi giocare anche roba uscita sulla prima scatoletta di Microsoft su Series X.
Sony per il momento non ha manco confermato la retrocompativilità PS5->PS4 (ma tranquilli, ci sarà) ed ha una bella bega, nel cercare di rendere compatibile la libreria PlayStation 3 sulla nuova macchina. E c’è un preciso motivo tecnico, ma per saperlo dovresti aver studiato un po’ di storia dei videogiochi. Invece sei così ignorante che se oggi parlo di “ritorno del Giappone dei maestri videoludici” in un articolo dove voglio provare ad essere serio, mi prendi per il culo e mi dai del minchione. Comunque vabbè, torniamo un attimo alla Console Cold War.
Te lo dico io perché. Perché catalogare la storia dei videogiochi vorrebbe dire perderci tempo, far diventare i videogiochi qualcosa di più di un prodotto d’intrattenimento. Adesso sono arte di Schrodinger: a seconda della convenienza possono esserlo o non esserlo. Sai per puro culo che Miyamoto una volta ha detto che secondo lui i videogiochi non sono arte e sei a posto così, Ipse Dixit. E poi vuoi mettere? Se per caso per parlare di videogiochi diventa fondamentale avere quantomeno l’idea di alcune delle finestre sul passato che hanno aperto, poi è un macello. Adesso è comodo, chiunque può aprirsi il suo sito del cazzo o accasarsi su un sito del cazzo già aperto, senza studi o requisiti particolari. Non esiste la professione di storico del videogioco o di antropologo dei giochini, per cui qualunque imbecille si può professare tale.
Se non devi guardare al passato perché ti interessa solo coprire la roba in prossima uscita, magari pure con la solita pretesa di oggettività 1.0 del cazzo, il problema della conservazione dei videogiochi non si pone. Diventa una frociata da filosofi, una supercazzola da radical chic. Ecco, perché non si studia la storia del videogiochi.