Ep. 138: Boston Teabag Party
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Il bullismo nei videogiochi è diegetico

La prima cosa che noi popolazione giocante abbiamo inventato non appena idDio Sofware ci ha fatto il dono delle Lingue – che è ovviamente il Death Match di DOOM – è stata il Teabag. È in un certo senso linguaggio emergente, nel senso che non essendoci a disposizione in-game cose per irridere l’avversario smitragliato male abbiamo universalmente stabilito che l’atto di accucciarsi, tirarsi su e riaccucciarsi sul suo cadavere fosse il modo migliore per infamarlo. E se siamo riusciti a dimostrare il nostro peggio senza manco le chat, figurati quando le hanno inserite.

Se ci pensi è incredibile come il “che parata!” di Rocket League sia diventato quasi un Marchio della Bestia, qualcosa che permettere di riconoscere ad occhio la tossicità e soprattutto la persona tossica che si nasconde dietro quel comando pre-impostato sparato durante una partita. È incredibile anche quanto LoL sia riuscito a tirare fuori il peggio di noi anche più di DOOM, di Call of Duty e dei giochini dove ci si spara addosso con una grafica pseudo-realistica.

Molto meno incredibile è quanto le aziende davanti a queste cose si siano girate dall’altra parte finché non è diventato assolutamente necessario intervenire, perché avallare certi comportamenti da stronzə fa gioco al giochino. È più facile crescere, se diventi l’habitat di certi atteggiamenti e dei personaggi che li perpetrano. Costa meno non moderare che moderarlo, anche solo banalmente a livello di PR. Poi chiaramente ad una certa devi intervenire, ma solo quando il danno d’immagine supera il vantaggio monetario. Si chiama “economicamente corretto”, ed è quello che fanno tutte le Società per Azioni mentre noi ci si scanna al grido di “non si può più dire niente signora mia”.

Questa cosa poi chiaramente esce dai giochini ed entra nelle community. È il sonno della ragione che genera i mostri che poi affollano i vari GameTime e legittimano le idee del cazzo dei Content Creator Frawsci lì fuori.

Per me sarebbe facile dire #NotAllCommunities adesso, perché per qualche motivo la gente attormo a Gameromancer non mostra i segni di questa tossicità.

Vuoi perché a costo di rifiutare anche donazioni su Patreon e sub di Twitch non scendiamo a compromessi, vuoi perché la barriera di ingresso è tale per cui chi entra davvero in community deve avere almeno due neuroni funzionanti, vuoi perché abbiamo avuto culo. Il merito per quanto mi riguarda è soprattutto tuo, il mio dover moderare molto spesso si limita a bannare qualche imbecille dopo che m’è stato segnalato “dal basso”. Non è questo il punto, peròanche se questi volevano essere i soliti goffi ringraziamenti per essere quello che sei.

Il punto è che la tossicità esiste. E nonostante non si faccia che blaterare di Politicamente Corretto, di eccessi di inclusività e stronzate del genere, questa prolifera.

Prolifera al punto che se qualcunə si chiede – chiede, non afferma che sia così, chiede – se il Teabagging sia una molestia succede l’inferno. Al punto che c’è gente che è costretta a nascondere la sua identità di genere online pur di poter giocare, quando non rinuncia direttamente a farlo. E per ogni persona che smette di giocare c’è almeno un gamergater del cazzo che gode perché nella sua testa così sta preservando i “cari vecchi videogiochi” evitando che diventino arte e continuino ad essere una roba divertente su cui farsi le seghe sulle tipe sessualizzate e le ghignate perché che ridere dare i pugni ad Adolfo Hitler in Wolfenstein.

Anche se capisce più il Mein Kampf di Minecraft.

Ne vuoi ancora? Nessun problema...