Prima di cominciare: non ho finito il gioco, abbandonato dopo 5-6 ore per estrema frustrazione

Un destino cieco per un gioco monco

Vorrei potervi raccontare di un bel gioco Indie nostrano, di quelli di cui andar fieri, da spammare in giro. Vorrei potervi parlare di un bel gioco che sfrutta un immaginario derivativo ma figo, che ha delle belle meccaniche originali, che ci mette nei panni di una persona con disabilità, per quanto tecnologicamente “aggiustata”. Vorrei che Edo no Yami fosse uno di quei giochi di cui a distanza di mesi continuerò a fare il nome, indicandolo come una roba bella che andrebbe recuperata.

E invece no, purtroppo. Perché la verità è che Edo no Yami è un gioco sbagliato da tanti punti di vista, che spreca tutto il suo potenziale con una serie di errori di design. E ce n’era di potenziale, perché la cecità nei videogiochi è una roba a cui non si è mai dato tanto spazio, e perché il modo in cui si era scelto di usarla come perno attorno a cui costruire tutta l’esperienza era concettualmente figo. Un Samurai lasciato in fin di vita, mutilato e privato degli occhi, ricostruito da un Tengu che da creatura mitologica diventa artificiale, impiantato con sensori per vedere, circa, e di memoria digitale del mondo com’era, dovendo fronteggiare le divergenze tra il contemporaneo e gli occhi cibernetici di chi guarda, ancorati al passato.

Spreca tutto il suo potenziale con una serie di errori di design

Un concept figo che funziona per qualche decina di minuti prima di cominciare a mostrare le sue crepe. Fighissimi i tre sensori – sonoro, termico e olfattivo – che dovrebbero fornire una percezione del mondo; peccato che alla fine vengano sfruttati poco e male. La principale motivazione per cambiare tra uno e l’altro – potendone usare uno per volta – già poco dopo il tutorial si riduce al fare attacchi speciali, in seguito a un banalissimo e sempre uguale quick time event realizzabile solo dopo aver selezionato il sensore indicato a schermo, senza nessuna ragione narrativa. Ma proprio nessuna: addirittura combattendo lo stesso nemico, il sensore da usare per queste mosse speciali cambia, in modo del tutto randomico.

Problemi di input e di platforming durante una boss fight

Un mix di ingredienti sbagliati

Il parallelo con Trek to Yomi è scontato, ma qui il combat è anche peggio

Tutto ciò a coronamento di un combat system basato su pochi attacchi e ancor meno combo, che ben presto mi ha dato una sensazione di ripetitività estrema, soprattutto negli scontri ordinari. La voglia di trasporre in due dimensioni le sensazioni dei duelli all’arma bianca che hanno fatto la fortuna di Sekiro si scontra con un’esecuzione piatta, con finestre per il parry molto generose e pattern di attacco ricorrenti. Aspetti che, mentre il giocatore viene pigramente bloccato dall’avanzare da muri invisibili che comunicano (male) la presenza da qualche parte di nemici da sconfiggere, rendono ogni ulteriore avversario che compare lentamente a schermo nulla più che un seccante ostacolo su cui applicare la stessa combo quelle tre o quattro volte necessarie a buttarlo giù. Una roba che funziona peggio di Trek to Yomi. 

No, non è un soulslike nonostante ci siano parry, schivate e stamina.

Non che in fase di boss fight la situazione migliori, purtroppo. Per variare su un tema che alla base offre pochissime possibilità si è cercato di giocare con le tre dimensioni rispetto alle due su cui normalmente ci si muove, o con la rotazione delle stanze. E lo si è fatto male, inutile girarci attorno: il risultato sono scontri con delle spugne assorbi-danni, pieni di situazioni mal gestite che introducono problemi di input, mancanza di indizi visivi o sonori necessari al giocatore per capire come affrontare le varie fasi e platforming pesantemente buggato.

Tra uno sfruttamento del tema centrale della percezione molto al di sotto delle sue potenzialità, una gestione dei checkpoint da mani in faccia, un combat system piatto che onestamente mi ha stancato dopo nemmeno un’ora, una generale imprecisione nei comandi che rende il platforming estremamente frustrante e il costante dare per ovvie meccaniche che non lo sono affatto, Edo no Yami è un gioco che ho fatto sinceramente fatica a portare avanti. Purtroppo non basta un concept figo. Non basta un bel design, una trama intrigante, le luci al neon e il Tengu robotico.

Purtroppo ai giochi bisogna anche giocarci,
e se alla base non funzionano tutto il resto non serve.

quanto spendere
15 /25€
bignami per pigri
Un samurai cieco e un concept figo tutto cyberpunk, innesti e percezioni della realtà, rovinato da una realizzazione problematica che sbaglia la maggior parte di quello che si poteva sbagliare
top&flop
> Ambientazione intrigante
> Direzione artistica niente male

> Ripetitività
> Input buggati
> Checkpoint senza senso