Quando ho chiesto ai ragazzi di PixelConflict – che sono effettivamente maschi – se poteva andar bene il 16 luglio per registrare non ho pensato che era il day one di Stack Up!. E da un certo punto di vista magari è stato anche un errore, perché ti porti in podcast gente che c’ha evidentemente altro per la testa e ti senti pure un estraneo a sentirli scherzare nervosi tra di loro. Però da un altro punto di vista, quello videoludicamente scorretto, è stata probabilmente una delle mie idee migliori di sempre. Perché non avevo mai vissuto un day one dall’altra parte, e farlo per un’oretta è stata una ficata pazzesca.
Cosa succede al day one di un gioco? Succede la vita. Succede che forsen così, de botto, senza senso inizia a twitchare il tuo giochino e fa 12mila persone. Succede che vai nel panico perché i server tengono solo 50 persone e allora vai a comprare di corsa l’upgrade perché non si sa mai. Il tutto mentre stai aspettando che arrivi il fattorino con la pizza, sei in mutande e dall’altra parte di Skype c’è il faccione di uno stronzo che manco conosci. Succede che durante la registrazione tieni un occhio sulla live perché cazzo, come fai a staccarceli? Che quando il gioco crasha vai un attimo nel panico e inizi subito a fare il debug. Anche senza la console di sviluppo.
Succede che succedono un sacco di cose ed è bello anche solo fare il voyeur. Spettatore non pagante di un miracolo chiamato Game Industry che oh, ogni tanto attecchisce anche in Italia. Quasi per caso, quasi per gioco. Ma che ne sanno i siti specializzati fatti dai professionisti dell’informazione? I videogiochi, quelli veri, sono fatti da persone. Persone che vivono momenti, che quando stanno per attaccarsi a registrare un podcast rispondono al telefono perché il loro Godfather italo-londinese li avvisa che sta succedendo di tutto. E come forsen stacca la live gli manda un messaggino. Il padrino magari ve lo ricordate per un altro DLC dove si parlava di che bello sarebbe aiutare con le Pubbliche Relazioni i dev italiani.
Bastano 40 minuti con PixelConflict per capire quanto Matteo c’abbia il cazzo grosso. Perché in questa storia delle PR è andato all-in, c’ha il know-how e un sacco di altri inglesismi generati proceduralmente per darsi la validation. In tre mesi ha preso un anno e fischia di lavoro quasi hobbystico e gli ha aggiunto quello che mancava. Quello che spesso in Italia manca quando vuoi fare un videogioco.
C’è tanto da dire sul dietro le quinte di Stack Up! Di come sia nato durante un lockdown in cui non sapevamo che cazzo fare e di come forse, inconsciamente, ne sia una metafora. O magari anche no eh, magari sono solo SegheMentali alla Gameromancer. Perché Gameromancer in quelle due o tre persone è entrato e ha generato un cambiamento, per quanto minimo. E viene fuori che è pure un cambiamento positivo, nonostante quello che si potrebbe dire da fuori.
Non è stata una puntata facile. È stata una puntata bella, questo sì. Non so se ci saranno altre occasioni del genere, questa però è stata la prima e vada come vada me la porterò nella tomba. Uno spaccato di un day one di un videogioco, per quanto piccolo, per quanto indie. Sono queste le storie che dobbiamo andarci a cercare. Sono questi i momenti che dovremmo raccontare.