Uno dei miei ricordi ludici più vividi dell’estate, intesa come sensazione, emozione, non-luogo della vita, non è video(ludico), bensì cartaceo, di quando le edicole non vendevano pure energy drink del cazzo e, per dire, ci potevi pure comprare delle riviste, cioè, quelle gestite da gente che scrivendo poteva pagarsi un mutuo (nel senso, VERAMENTE!). La Settimana Enigmistica era un cult delle mie vacanze. Mi piaceva troppo scarabocchiare, risolvere enigmi, semplicemente cazzeggiare con una matita dell’IKEA in mano, col ventilatore puntato sul ventre sudaticcio, rischiando la colite perché tanto, hey, si vive una volta sola e si può continuare a giocare anche sul cesso!
Negli anni questo mio feticismo è stato fomentato dal Nintendo DS, con roba come Picross e la serie del Professor Layton (no, Brain Training mi faceva sentire troppo giudicato), di cui mi sentivo veramente orfano fino all’annuncio del nuovo capitolo per Switch, a data da destinarsi (fate le cose per bene, vi prego). Ultimamente, però, succede sempre più spesso di vedere giochi che sembrano esaudire i miei desideri più perversi e, guarda caso, i miei enigmi preferiti sono sempre state le declinazioni nostrane di “Where’s Willy?”, “trova le differenze” ecc!
Che sia una figata lo posso dire subito, così ci leviamo dalle balle il pensiero e posso spiegare meglio i “perché” e “per come”. Il titolo è un Minority Report astratto, ironico, frame by frame, in un contesto di indagini temporali attraverso cinque ere dell’umanità (reinterpretate in modo adorabile), IA avanzatissime che ci supportano (e altre che fanno casino) e paradossi da risolvere, in una timeline incasinata come il cervello di Lukaku. Fondamentalmente bisogna cercare, nei bellissimi disegni in bianco e nero, molto analogici, cartacei, che raccontano le ambientazioni (tra cui una Milano spremuta, concentrata in una singola tavola), vari indizi, personaggi, situazioni, sempre dietro suggerimento della nostra assistente virtuale (che detta i vari passaggi dell’indagine), in modo quindi abbastanza guidato ma mai anti-climatico.
Questo perché, innanzitutto, rende la ricerca più dinamica, con l’IA che gestisce da sé i “tick” temporali (ovvero i vari momenti sulla timeline del caso) e permette contemporaneamente alla narrazione di avere un suo ritmo ben preciso, ma anche di cambiare le carte del gameplay in tavola con una certa frequenza. Aggiungendo per esempio uno strumento che permette di guardare attraverso le borse o sotto le maschere, sventare rituali dimensionali, oppure ascoltare specifiche melodie ambientali per capire, a spanne, in che zona si trova quello che stiamo cercando (e arrivando poi a veri e propri aiuti quando gli ingranaggi della testa rimangono incastrati), inframezzando il tutto con piccoli micro-game che descrivono in sintesi le infinite funzioni della simpatica assistente: rilevare impronte digitali, triangolare segnali di vario genere, decrittazione, riconoscimento facciale e così via. Ho letto in giro che a molti non sono piaciuti ma, insomma, se non si ha la pazienza per fare una robina contestuale da 30 secondi, oltretutto confezionata con un certo stile, non so cosa dirvi.
E parlando di stile, a parte la resa dei disegni che ho già accennato, belli densi, dettagliatissimi, pieni di vita in fermo immagine e citazioni pop spassose è proprio come l’ambiente si riempie di elementi in sovrimpressione a dare un senso di progressione esteticamente appagante ai casi; polaroid che fotografano i momenti chiave, frecce che indicano il percorso del sospettato, scarabocchi vari come si usa fare sulle riviste di enigmistica, cazzetti stilizzati esclusi.
Un tipo di cura che fa la differenza, non c’è niente da fare. In generale l’ho proprio trovato un prodotto brillante, intelligente, creativo nell’usare elementi conosciuti in un modo diverso, senza limitarsi al compitino e mescolando concetti di game design, per trovare il suo spazio nell’enigmistica 2.0 formato videogioco.