SegheMentali Cos’è il videogioco?

È la possibilità di interagire con un’idea, un sogno, un colpo di genio.

Questo è il videogioco, se osservato nella sua forma più pura. Entrare nella testa del suo creatore, osservarne gli ingranaggi, come un orologiaio alle prese con il più complesso dei meccanismi. Soffermarsi a studiare il suo funzionamento è un gesto di un’intimità incredibile, da utente come da critico, soprattutto nelle opere dalla spiccata autorialità. Si pensi al panorama indipendente. Sembra quasi di stabilire un contatto telepatico tra giocatore e creatore, surfando sulla stessa lunghezza d’onda emotiva e rimanendo estasiati da come quest’arte sia aperta e sempre pronta a rivelare i suoi segreti.

La differenza con le altre forme espressive, in cui l’idea la si percepisce a livello platonico, privo di contatto fisico (privilegio riservato all’artista, in vincolo matrimoniale), è proprio la dimensione passionale dell’atto di giocare, affondandoci le mani, sentendone la consistenza come fosse pongo. È come osservare in rewind un Big Bang cerebrale, dove il prodotto finito si scompone davanti ai nostri occhi per ritornare idea. Una promiscuità intellettuale in cui l’opera si concede ai suoi consumatori, obbligati a spogliarsi della fretta per consumare un rapporto di pura curiosità. Riemerge The Witness di Jonathan Blow, quella sensazione di vertigine agorafobica che dà il sentirsi piccolissimi al cospetto di una proiezione mentale, una dimensione aliena e sconosciuta in cui muoversi liberamente. Non è solo divertimento o puro piacere, è una sensazione fisica che prende allo stomaco, quella tipica del mistero, dell’occulto che fa sentire spaesati, fuori dalla propria comfort zone per scoprire qualcosa di più grande, che non possiamo ancora comprendere: la mente di uno sconosciuto. Un’idea/gioco che va assimilata col passare delle ore, come imparare a nuotare, sintonizzandosi con essa.

Si finisce nella testa dell’artista, in uno spaccato della sua vita privo di barriere, un loop costante di idee che non avevamo mai neanche immaginato, drogati di ingegno umano. Ecco, che cos'è il videogioco

Ogni idea è poi frutto di una filosofia di base, terreno fertile che dà vita a esperienze profondamente diverse, come lo saranno le emozioni che vivrà il giocatore nel pasticciarci. La virtualizzazione del concetto di giocattolo da parte di Nintendo ad esempio, che porta alla stimolazione e al ricordo di routine fanciullesche, grazie a feedback ottico-tattili gommosi dai meccanismi perfetti. Sensazioni talmente fisiche che viene voglia di capirne il funzionamento nei minimi dettagli, fino a tentare di rompere quella perfezione, pratica che gli speedrunner estremizzano. Un modo di vedere vivere il videogioco che non è mero “celodurismo” ma un atto d’amore verso l’idea, che porta allo studio ossessivo di tutte le sue componenti. Oggi forse giochiamo troppo e disordinatamente, tendiamo ad andare sempre poco oltre la superficie, ma nel nostro piccolo, in giovane età, è quello che abbiamo sempre fatto. Vuoi perché non potevamo permetterci di prendere un gioco nuovo alla settimana e gli sconti del digital delivery erano pura fantascienza, giocavamo e rigiocavamo intere sezioni, capendone piano piano e a livello embrionale il loro funzionamento, le loro saldature e punti di rottura, rimanendo esterrefatti dalla loro omogeneità. È lo stesso fascino delle esperienze definite “hardcore”, che resistendo sotto i colpi della curiosità del giocatore, respingendolo per restituirgli un senso di scoperta graduale. Non fanno altro che dargli gli strumenti per analizzarlo strato dopo strato come uno scavo archeologico. È una sensazione paragonabile all’entrare in sintonia con un’altra persona, capirne le idee, aprire un canale di dialogo e confronto. Certo, è anche pieno di teste di cazzo, là fuori come nel videogioco, ma non è meno affascinante capire cosa non piace e perché qualcosa non piace.

Si diventa così parte del grande disegno artistico, elemento fondamentale che usa e viene usato, un dare-avere generoso, caloroso. “Adesso cos’hai intenzione di fare?” chiede l’opera, e noi rispondiamo con un’altra domanda: “Perché vuoi farmi fare questo? Cosa nascondi?”. Il videogioco è arte inclusiva e stimolante, che non esiste senza il giocatore e la sua curiosità, viva e morta al tempo stesso come il gatto di Schrödinger, come la mente di una persona che possiamo decidere di conoscere o lasciar andare via per sempre.