Animal Crossing mi sta salvando dalla reclusione. Porca troia è veramente beffardo pensare qualcosa del tipo “Nintendo non poteva scegliere periodo migliore per lanciare il nuovo Animal Crossing”. MIGLIORE cazzo, eh sì, non c’è aggettivo più azzeccato. Doveva essere l’opera ludica perfetta per inaugurare la primavera, un 30 marzo con le porte spalancate su un fine settimana in campagna. Il primo caldo, quello che risveglia profumi che è possibile annusare solo per pochissimi giorni l’anno.
Un’uscita in bici e poi una bella boccia di Lambrusco ghiacciato per recuperare dallo sforzo.
Giocare a New Horizons doveva essere un cortocircuito tra la primavera reale e quella virtuale. Un ponte che va da weekend a weekend, costruito sopra il fiume della monotonia grigia, cittadina, lavorativa. Invece siamo tutti in trappola, un limbo paradossale, una situazione che mai avremmo immaginato. Reclusi in casa nostra, fuori la tragedia che meno ci saremmo aspettati di vivere, vigliacca e nascosta, incombente.
Fuori. Una parola che nasconde in sé sia pericolo che speranza. #restateacasa. Dentro, protetti, perdendo il conto dei giorni in giornate troppo uguali tra loro. Lo stesso panorama fuori dalla finestra, le stesse conferenze stampa della Protezione Civile alle 18 spaccate senza un cenno di luce in fondo al tunnel. La persona che più di tutte riesce a tirarmi fuori dal gorgo lontana, e che siano un paio di km in linea d’aria non fa alcuna differenza.
La trappola non sono però le quattro mura che ci circondano, Sono i pensieri. Ossessivi e ricorsivi, quelli di una mente abituata a ragionare per distrazioni, proiettata sempre oltre il momento, a un futuro sempre migliore di quello che stiamo vivendo, un futuro adesso in pausa. Stop. Il presente ci ha messo le manette e ci sta prendendo a manganellate sulla testa.
Non c’è videogioco, film o ultimo album di Tame Impala (clamoroso eh, lasciatevi servire) che tenga; tutto scorre, viene assorbito a corrente alternata, ma la testa è ancorata in un’altra baia. È qualcosa di troppo grosso, elefante nella stanza e davanti allo schermo, inutile negarlo.
Eppure Animal Crossing riesce a fare una cosa in questa reclusione, che non è “spegnere il cervello”, modo di dire che odio, paragonabile a sputare sul reattore scoperto di Chernobyl sperando che succeda qualcosa di buono. New Horizons cambia il colore dei pensieri, illuminando l’orizzonte, in lontananza, come un’inquadratura d’autore. Come quando si è in cima a una collina, il temporale sopra la testa che desatura tutto l’ambiente e lo sguardo controvento, a guardare le nuvole che passano e si lasciano dietro una scia di colori. I colori di un’isoletta sperduta, nuova truffa di Tom Nook che promette di iniziare una nuova vita a patto di costruirsela da soli.
Che poi è una metafora bellissima, perché comunque se ti rompi i coglioni e vuoi ricominciare devi comunque farti un culo quadrato, sacrificandolo sull’altare della prossima serenità. Escapismo, non dalla realtà verso un’altra realtà ma puntando al virtuale, al parallelo, all’unica via di fuga, quella che è stata idealizzata come un arcobaleno a pastelli che urla “andrà tutto bene” e che ha già perso la sua magia, sbiadito. Alla fine di quell’arcobaleno c’è però Animal Crossing, ancora lui, incredibile (come direbbe Piccinini), come una pentola ricolma d’oro in lingotti di endorfine in una reclusione altrimenti fiacca. La routine di un gameplay privo di sfida, malleabile, un Nuovo Mondo da plasmare, la possibilità di combinare qualcosa di buono, costruire per gli altri e vivere in pace con la Natura per contrastare il crollo interiore, erosione costante di giornate burrascose.
Non sono cazzate, non è retorica, è una terapia antipanico efficace. Cura ricostituente per lo spirito ricca di vitamine e minerali, cogliendo le prime dagli alberi e percuotendo le rocce per le seconde. Il battito rallenta, l’ansia allenta la presa sulla gola, sono esattamente dove vorrei essere: all’ombra di un albero guardando un fiume scorrere. Nient’altro. Xanax, 10 gocce in un bicchiere d’acqua o 10 pezzi di legno per creare una sedia a dondolo da piazzare in veranda? È un’illusione, chiaro, una bugia a fin di bene. Una bugia che scompone la mente per portarla in un altro luogo. Esaudendo un desiderio, delocalizzando un corpo che al massimo può fare la spola dalla sala al cesso. Un punto luce, faro a occhio di bue che illumina un angolo di mente nel tentativo di evasione, Fuga da Alcatraz.
Siamo tutti Clint Eastwood, vogliamo fuggire, non tanto di casa quanto dall’incubo, risvegliarci. Invece la mia soluzione è addormentare la paranoia sull’isola di Arcello (in onore di uno dei miei paeselli del piacentino preferiti da raggiungere in bici), chiacchierando con gli abitanti tutti matti e felici. Pescando e coltivando alberi da frutto. Raccogliendo fiori e creando nuovi maglioncini a immagine e somiglianza del mio guardaroba (bisogna mantenere sempre un certo stile, sono un milanese che lavora nella moda oh, che cazzo).
Ci sono certi colori talmente belli che colpiscono come un pugno in faccia. Crepuscoli così pacifici da sedersi e osservarli, senza fare niente, pensando e basta, degustando la malinconia come fosse vino buono. Il ritorno a una vita più semplice, frugale, che non dimentica le consuetudini del mondo moderno (i debiti che si fanno non si pagano certo da soli). Lasciandocele però affrontare con ritmo bradicardico, comodissimo e su note di piano.
Un’opera che esorta quasi a non tornare alla vita di prima, una volta che tutto questo sarà finito, di pensarci bene prima di ricascarci dentro in questa merda. ‘Che forse è l’occasione giusta per fare altro, svegliàti dal torpore con uno schiaffo a mano aperta. Un contrasto talmente forte, violento con la realtà da cambiare la percezione di un gioco che normalmente sarebbe stato un divertissement da decompressione post-lavoro. Qualcosa che avrebbe perso di mordente dopo pochi giorni e che oggi scopro essere l’abbraccio quotidiano, caldo e sincero, di cui ho disperatamente bisogno. Perchè la reclusione è più lieve, in Animal Crossing.
Qualcosa che rimarrà nella storia del medium ma soprattutto nelle chat di chi in questo momento ha la siringa della gioia infilata nel braccio, preferendo “una sincera e onesta tossicodipendenza” (come dice Mark Renton in Trainspotting) a quello che c’è là fuori.