SegheMentali Chi vuol essere Gatekeeper?

L’articolo che stai per leggere è un estratto da La Voce della Ribellione del 25 settembre, uscita della newsletter videoludicamente scorretta a tema gatekeeping. Il discorso meritava quanto più spazio possibile quindi eccoci qui signor giudice

Io credo che le narrazioni personali siano il modo migliore per far trasparire un concetto, soprattutto perché così i lettori e, soprattutto in questo caso, le lettrici possano identificarsi meglio e capire che certe cose non succedono solo a loro, che non sono sole. La forza del #MeToo è questa no? Le esperienze personali non possono essere invalidate, e quando si scopre che dal personale si passa al sistemico, la potenza di queste narrazioni viene moltiplicata.
Oggi ho quindi deciso di condividere alcuni aneddoti in cui sono sicura che molti e molte di voi riescono ad identificarsi.

Come ci si sente quando non vieni presa sul serio? Di merda, ecco come ci si sente

Però se fin da piccola ti hanno insegnato che i maschi ne sanno più di te in fatto di videogiochi, la prima cosa che pensi non è “non è vero, ne so abbastanza”, ma è “Devo ancora migliorare perché non sono abbastanza”. All’interno della cultura nerd, il concetto di non essere abbastanza è molto diffuso, soprattutto nelle giovani ragazze. Quindi ti ritrovi sempre a dimostrare quanto ne sai, a studiare, a migliorare, a giocare, a leggere, per poter mostrare agli altri, ai padroni della nerd culture che ti mettono sempre in dubbio, che ne sai, che sei una di loro.

L’ho raccontato già un bel po’ di volte, perché è il simbolo di gatekeeping che mi ha segnato molto nella mia crescita. Primo anno di università, facoltà di Informatica, neanche a dirlo, tutti maschi.
Pausa. Esco in cortile con un collega appena conosciuto a fare due chiacchiere.

R: “Ah quindi dici di giocare ai videogiochi?”

Dici? Non mi crede? La me diciannovenne si domandava perché era messa in dubbio una cosa del genere. Ma ero una ragazza, e si sa che le ragazze che giocano ai videogiochi sono poche no?.. Quindi è normale che lui mi metta in discussione.. no?..

R: “Beh allora ti faccio delle domande per capire se sei una che gioca davvero. Io ti dico delle case produttrici, e tu mi devi dire almeno un gioco che hanno rilasciato.”

E io avevo una paura fottuta. Sono sempre stata un’inetta con i nomi, e se non me li ricordavo? E se mi faceva una domanda troppo difficile? Una casa produttrice che non conosco? La mia credibilità sarebbe andata a farsi fottere. Dovevo dimostrare di non essere “una ragazza come le altre”. Com’erano le altre dite voi? Delle fake gamer girl

R: “Naughty Dog.”
Beh ma questa è facile, pensai. “Uncharted, Crash Bandicoot.”

R: Brava. Allora Square Enix.”

Broh… Siamo a livello base qui. “Final Fantasy, Kingdom Hearts.”

R: “Bene. Allora Rockstar.”

“Vabè GTA, Red Dead Redemption.”

R: “Ah va bene dai sei stata brava. Allora possiamo parlare.

E io ero contenta. Ero contenta di aver dimostrato di saperne di videogiochi. A quel punto mi avrebbero accettato nel loro circolino di veri nerdTM. Ripenso spesso a questo episodio, a come mi ero sentita.

E la cosa che fa più male è che mi ero sentita bene.

Mi ero sentita accettata. Come se lui, questo ragazzo, avesse in qualche modo le chiavi del portone attraverso il quale io non potevo passare se non per sua gentile concessione.

Quando ci penso adesso l’unica cosa che mi sale dentro è una furia cieca.

Tutte le volte che mi sento dire “Ma come non lo conosci?” “Ma come non l’hai giocato?” “Ma come non l’hai letto?” Tutte le parole che non ho potuto vomitare all’epoca, a causa di mancata consapevolezza, mi escono dalla bocca impregnate di rabbia e frustrazione. Perché io non devo dimostrare niente a nessuno. Perché voi non possedete le chiavi di nessun portone. Non avete il potere di dire chi può e chi non può parlare di un argomento. Non avete il diritto di mettere in dubbio a priori la cultura videoludica, in questo caso, di nessuna.

Quando mi sono trasferita a Milano, avevo 23 anni, mi stavo frequentando con un ragazzo. Faceva ingegneria aerospaziale. Non giocava spessissimo ai videogiochi, almeno non quanto me, aveva “solo” la cultura di ciò che viene definito come “cult” cinematografico e videoludico. Io studiavo Game Design all’università.

Allora visto che fai Game Design, vediamo se davvero ne sai.

Eccoci qua, again a dover dimostrare a uno che palesemente ne sa meno di me, se ne so abbastanza di qualcosa che stavo studiando e che tocco con mano costantemente da quando avevo 5 anni.


Per approfondire:
Top 10 Maski Videoludiki

Voi direte “Maura, l’hai mandato a fanculo stavolta spero.” E invece no raga. Perché questi sono solo due di tutti gli aneddoti che vi potrei raccontare. Le volte che sono successe cose del genere sono innumerevoli, quindi semplicemente era diventata una cosa normale.

S: “Allora se ti dico “S” a cosa pensi?”

S? Ma in che senso, può essere qualsiasi cosa, di cosa sta parlando? Videogiochi con la S? Piattaforme? Steam? Boh..

S: “Allora S.. T..”

La mia faccia era diventata un punto interrogativo. Ma che sta facendo? Che sta dicendo? St? Star Ocean? Magari è la sua saga preferita. Che cazzo ne so.

S: “S.. T.. E.. A..”

Ma è Steam sul serio? Cioè mi sta davvero chiedendo se conosco Steam? No dai è impossibile. Perché qualcuno dovrebbe chiedere a una persona che studia Game Design se conosce la piattaforma più famosa di videogiochi per computer? E’ impossibile, sarà qualcosa che non conosco. Pensavo, continuando ad avere una faccia da ebete.

S: “STEAM Dai! Lo conoscono tutti!”

E invece era quello. Mi aveva appena chiesto, facendomi lo spelling come a una bambina di quattro anni, se conoscessi Steam visto che studiavo Game Design. Ero così sorpresa dalla domanda che gli risposi solo “Sì, certo che lo conosco.”

Ancora oggi mi chiedo come gli sia potuta sembrare una domanda legittima chiedermi se conoscessi Steam poiché studiavo Game Design.

Quella volta non mi sentii contenta, mi sentii sminuita.

Sminuita da una persona che non poteva permettersi di sminuirmi, ma si sentì comunque in diritto di farlo, di mettere in dubbio le mie competenze.

Dopo questo episodio mi chiedo spesso quanto deve essere bello vivere in una società che non mette mai in discussione il tuo sapere, che ti fa credere di essere un vero nerdTM, che ti fa sentire così sicuro di te da proporre quiz sulla nerdaggine a delle ragazze solo perché conosci Steam.

Se ci fate caso, in entrambi i casi descritti, quella che si sentiva in difetto ero comunque io, pur non avendone motivo, pur avendo le competenze. Non mi sono sentita abbastanza, mi complicavo la vita, pensavo che non avrei saputo le risposte, pensavo che mi avrebbero chiesto cose iper specifiche sulle quali non ero preparata. E tutto questo si è protratto sin dalla mia infanzia, quando dovevo guardare mio cugino giocare alla Play perché “io non ero abbastanza brava”, alla mia adolescenza, quando facevo vedere la mia collezione di giochi e statuine di Final Fantasy sentendomi rispondere “Non è una vera collezione se ti manca Final Fantasy VII”, passando per l’Università. Alla fine credi davvero di non essere abbastanza. Che i maschi ne sanno di più, perché te lo fanno credere Loro. Tutti i ragazzi dai quali ero circondata quando frequentavo ambienti nerd. Non ero al Loro livello.

Fortunatamente quando ho incontrato ragazze che avevano avuto le mie stesse esperienze ho capito che erano tutte cazzate, e Loro erano tutti cazzari gatekeepers. E a quel punto, con la consapevolezza, la mia furia è diventata un vero e proprio stato di Berserk permanente.
Ultimamente ho sentito vari discorsi sul “Non puoi parlare se non hai giocato questo”, “Non puoi parlare se non hai tot anni di esperienza”, “Non puoi parlare se non eri nata quando è uscito quest’altro”. Tutti questi atteggiamenti non sono solamente detti da persone con palesemente problemi di autostima che devono escludere gente per sentirsi importanti, ma sono detti soprattutto da persone che vogliono mantenere lo status quo videoludico. Avete presente quelli del Gamergate quando sono andati in rivolta perché “questo è il nostro spazio, non dovete toccarcelo”? Ecco, se non ce l’avete presente provate a cercare su Youtube “How feminism ruined videogames” e vedrete quanti video sessisti e misogini trovate.

Ste cose succedono a me, che sono una signorina nessuno, ma pensate a quanto sono gravi quando succedono a donne che hanno una cultura videoludica immensa, come Giulia Martino

E’ stata messa in discussione la sua competenza, la competenza del lessico di una giurista che scrive a mano atti notarili di quaranta pagine più volte di quanto io finisco i pacchetti di sigarette.

E’ stata definita ragazzina, signorina, con tono dispregiativo. “Una ragazzina che non ha mai giocato mezzo JRPG in vita sua.”

Tralasciando l’evidente sessismo, questa frase rappresenta perfettamente cosa significa Gatekeeping. Se non hai giocato abbastanza videogiochi, tutto quello che uscirà dalla tua bocca non è valido. E’ nullo. Di conseguenza tu sei nulla. Non ti daremo spazio perché non ne sai abbastanza. Non ti inviteremo ad eventi perché non ne sai abbastanza.E questo si trasforma esattamente nella tipica frase “Non ci sono abbastanza donne che ne sanno.”

Certo, *aggiungi qui imprecazione blasfema censurata per non beccarmi multe per vilipendio*, volete avere voi tutto lo spazio!

E ci siete riusciti finora perché in tutti questi anni avete costruito un mondo fatto a vostra immagine e somiglianza, tenendoci ai margini, instillando in noi il dubbio dell’inadeguatezza. Infantilizzandoci, chiamandoci ragazzine senza competenze.

Ma la pacchia è finita raga. E noi non staremo più zitte. E meno stiamo zitte, più si vedranno i pattern che utilizzate per silenziarci e per mantenere lo status quo che vi mette in cima alla piramide videoludica.

Non lasceremo più correre, non ci faremo più “scivolare addosso le cose”, non ignoreremo più perché “il Signore ha già fatto abbastanza danni con lui”. Avete paura che se cade uno, magari prendendo vie legali, cadete tutti? Vi dico solo che spero non vi facciate male al culo quando crollerete dalla cima della piramide, preparate i cuscini. Buttati che è morbido!

Cosa significa, alla fine, saperne abbastanza? Significa dover conoscere videogiochi (o qualsiasi altro oggetto culturale nerd) che è stato messo nell’olimpo delle cose da conoscere proprio da coloro che stanno in cima. Conoscere “Le vecchie glorie del passato”, che puzza sempre di nostalgia littoria. Avete mai pensato che la cultura di ognuno di noi può essere diversa? Avete mai pensato che abbiamo semplicemente giocato a giochi diversi? Una cosa che mi piace sempre ricordare è che noi abbiamo DOVUTO giocare ai vostri giochi sennò non potevamo essere accettate nel vostro circolino, voi avete giocato ai nostri giochi queer femministi? DOUBT!

Quindi alla fine della fiera chi è che ha più cultura di chi?

Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?