Prestatemi per un attimo la vostra capacità di astrazione, necessaria per capire il mondo di cheater e dei cheat Engine. Poniamo che vi piacciano molto gli sparatutto, specialmente quelli multigiocatore, e in virtù di ciò avete acquistato l’ultimo Battlefield o Call of Duty. Aprite il gioco, selezionate l’opzione per il matchmaking, entrate nella partita, e per i primi cinque minuti vi divertite un sacco.
State facendo qualche kill, state morendo occasionalmente, e magari siete anche in un party con altri due o tre giocatori. Vi parlate, coordinate e cercando di prevalere sugli avversari: una bella partita, non diversa da tante altre che avete avuto.
Molto più velocemente. E vi sentite come probabilmente si sentì Morpheus mentre osservava Neo obliterare gli agenti in Matrix, con l’unica differenza che adesso siete voi uno di quegli agenti. E morite, ripetutamente. Fate a malapena in tempo a respawnare, solo per cadere nuovamente vittima di un ulteriore, incorporeo proiettile vagante. Nella chat di gioco iniziano a fioccare gli insulti, le imprecazioni, ma ТРИ_ПОЛОСКИ non risponde. Silenziosamente prosegue nella sua ecatombe virtuale, con una precisione e una puntualità sconcertanti. Ma ormai è troppo tardi, lui ha già iniziato.
Anche se ve ne siete accorti, il cheater ha già iniziato e siete finiti nella rete algoritmica del cheat engine. Vi affrettate a segnalare il suo profilo, e i vostri compagni vi seguono. Magari, se il gioco su cui vi trovate è abbastanza vecchio, digitate nella chat del server “/votekick”, ma vi fermate a metà poichè la vostra tastiera non ha il cirillico e comunque non avete la più pallida idea di come si scriva quel maledetto nickname. Ciò nonostante, dopo una decina di minuti ТРИ_ПОЛОСКИ esce dalla partita. Forse per un ban, forse perchè aveva perso interesse, non lo saprete mai. Tirate un sospiro di sollievo, e ricominciate a giocare cercando di non pensare a questa sfortunata vicenda.
Se una situazione del genere non vi è mai capitata potete ritenervi fortunati, ma personalmente posso affermare di aver assistito a scene del genere ben più di una volta, portandomi perciò a pormi numerose domande sulle motivazioni dietro a tali immotivati massacri. Chi è che sarebbe disposto ad acquistare un gioco con l’unico obiettivo di rovinare l’esperienza altrui? Che soddisfazione potrebbe mai trarre, questo qualcuno, da una violenza così assurda e incomprensibile?
Risulta difficile per noi calarci dei panni del bambino che prendeva a calci i castelli di sabbia sulla spiaggia, oppure nei panni del giocatore di Magic che si rimette in mano una carta dal cimitero mentre l’avversario non vede. Ci sembra totalmente incomprensibile perché “ci piace giocare”, e il gioco implica delle regole, ma questo ai cheater non interessa. Vincere rispettando tali regole è quindi parte integrante del gioco. Distruggerle è il pane quotidiano dei cheat engine. Ma al nostro ТРИ_ПОЛОСКИ tutto ciò non interessa: egli non sta giocando, non nel nostro senso comune del termine.
Ebbene, grazie ad un post su 4chan (obliterato nel nulla, purtroppo) letto ormai svariati anni fa che ricordo anche abbastanza male, posso affermare con arroganza che la causa è di tipo culturale.
I videogiochi sono, tra le varie cose, prodotti di consumo. Nel momento in cui spendiamo quei sessanta euro ci impegnamo affinchè l’esperienza che deriva da tale acquisto porti dei frutti. Vogliamo che ci appaghi, che ci gratifichi. L’impegno che mettiamo, mentre cerchiamo di diventare bravi, è finalizzato a sbloccare un obiettivo, raggiungere il primo posto in classifica o svelare un segreto che occhi meno attenti avrebbero tralasciato. Il fatto che invece buona parte dei cheater venga dalla Russia ci offre, invece, un simpatico quanto semplicistico indizio riguardo questo fenomeno “culturale”.
La Russia non è più un paese prettamente comunista da molto tempo, ormai, ma sarebbe sciocco non pensare che quel periodo storico abbia avuto un grosso impatto sul modo di pensare delle persone. Naturale pensare che il modo di concepire il prodotto di consumo è figlio di questo passato. L’idea di far fruttare i soldi che abbiamo investito in un gioco ci rende relativamente adempienti a un idea di consumo che invece, in un paese come la Russia, deve essere necessariamente diversa.
Il caro ТРИ_ПОЛОСКИ ha probabilmente non solo comprato il gioco a un prezzo inferiore al nostro (in Russia i videogiochi sono molto più economici per svariati motivi che non saprei spiegare), ma ha anche acquistato, per più del doppio del prezzo iniziale, il tool necessario per fare wallhack, o per uccidere senza mirare (altresì conosciuto come aimbot). Tutto questo perché non è spinto a migliorare se stesso o la propria esperienza; in altre parole, non accetta che il valore monetario che accompagna il gioco detti le regole su come egli debba vivere la sua esperienza ingame.
Il cheater adotta un sistema di valori e significati totalmente diverso dal nostro. È come un bambino, che non è interessato alla gratificazione che deriva dall’impegno e dallo sforzo. La purezza dei più giovani li rende indifferenti alle nostre convenzioni di onore e di orgoglio. Ciò che importa è la vittoria, la sottomissione altrui, e poco conta se bisogna prendere una scorciatoia per ottenerla.
Alla fine della giornata, ТРИ_ПОЛОСКИ non si sentirà in colpa per aver rovinato l’esperienza altrui, nè si sentirà inadeguato per aver dovuto fare affidamento a dei tool esterni per poter vincere.
Il (video)gioco, per lui, è un’altra cosa.
E questa cosa continuerà inesorabilmente a sfuggirci, proprio come abbiamo dimenticato cosa si provasse a dire le bugie ai nostri genitori, o a vantarci di aver trovato Mew nella Zona Safari. Tuttavia, è sempre lì, sepolta da qualche parte, in attesa di un nostro momento irrazionale per poter riemergere violentemente.
Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?