E non mi vergogno a dire che ne ho amato ogni parte, dall’adorabile protagonista alle bestemmie sparate dietro i B-Side e i C-Side. C’è dell’arte in quel gioco e nella sua capacità di frustrarmi, eppure io continuo a tornarci, preso da una qualche masochistica mania di completismo estremo. È come quando prendo il boss finale phatejoker a calci nelle palle e lui mi prega di continuare. Stesso principio.
Ma non è certo merito di quei cristo di Joycon. Nossignore.
Premetto che Celeste è stato il mio primo gioco Switch dopo il delizioso Headliner, se si esclude quell’evitabilissimo picchiaduro di Kirby sul Nintendo eShop (non ricordo manco il nome, vedi te). E quindi ero tutto eccitato che caricavo la console, zampettavo per la stanza, esploravo i concetti di docked e undocked, giusto prima di rendermi conto che Nintendo mi aveva venduto un incubo spacciandolo per sogno. E quella chimera ibrida tra oro e merda erano proprio i Joycon.
Inizio il gioco e boh, già qualcosa non va. Mi rendo conto che gli scatti di Madeline (che è pure roscia, quindi +100 punti a Madeline) non entrano sempre esattamente come dovrebbero. Cioè, in pratica mi andava in diagonale quando doveva andare orizzontale e viceversa. E quindi giù di bestemmie.
Anche perché Celeste è un gioco di precisione estrema. Non puoi giocarlo senza calcolare il minimo movimento, la più minuta distanza di salto, e questo soltanto nei livelli obbligatori della campagna. Le sfide aggiuntive sono un’altra storia ancora, ed è proprio lì che Celeste diventa una sfida con te stesso, il tuo tentativo di scalare il Monte Celeste per dimostrarti che ce la puoi fare e puoi pure raccogliere quei cristo di cuori di cristallo nel frattempo. E le fragoline, ma quelle solo se sono di strada, ‘ché qui c’è da fatturare.
Ci sono poi punti che Celeste diventa come giocare un rhythm game, ma uno di quelli che dopo la performance perfetta ti spingono i genitali a sfondare il soffitto per l’emozione. Anche se sei una signora.
Ci vuole una reattività maniacale, per superare certe sezioni. Un ritmo che ti scorre nel sangue, accompagna scatti e movimenti al millimetro, mentre sfuggi a un fantasma o cerchi di non sfiorare dei minchia di cristalli per non rimanerci secco a caso.
Il problema è che, visto che la vita fa schifo, stai facendo tutto questo (o almeno ci stai provando) giocando Celeste con i due Joycon di Switch. Due perché, diciamocelo, magari ci hai anche provato a giocarci con uno solo, ma poi hai realizzato che tutto sommato sei ancora eterosessuale e ti piaci così.
In compenso una situazione del genere porta a rivalutare la croce direzionale dei Joycon. Ne esci coi calli di un pescatore – perché ne esci coi calli per forza – ma almeno sono infinitamente più precisi di una levetta analogica che va per i cazzi suoi.
Anche perché Celeste è veramente troppo bello, anche su Switch. Le colonne sonore, il viaggio di Madeline, la storia della ragazza e dei personaggi di contorno, tutto è pensato come un viaggio intimo nella psiche della protagonista, e con quello stile grafico e quel gameplay loop basato sul trial and error, come fai a non amarlo alla follia?
Però dio bono quei Joycon
Pure le sfide più folli diventano quasi divertenti, in un gioco del genere. E finisce che non sono neanche scazzato di morire una, dieci, cento, cinquecento volte di fila in un’ora mentre cerco di superare lo stesso quadro, a patto che sia colpa mia. Se al centoquattordicesimo tentativo, tra le altre cose, Madeline mi esplode perché i Joycon non prendono l’input giusto, un po’ girano. E a ragione, anche.
C’è ovviamente chi loda i Joycon di Switch, per i più svariati motivi. Si può stare sbivaccati sul divano, a letto o sull’asciugatrice se vuoi giocare a scazzissimo. Sacrosanto. Ma quando mi metti di fronte un gioco come Celeste, che vive della precisione dei movimenti e respira speedrun ad ogni quadro, un po’ ci pensi a comprarti quell’aborto di Pro Controller. Che sarà anche brutto, ma almeno magari ti fa bestemmiare meno.
Però a tratti me ne frego anche. Celeste riuscirebbe a farmi ridurre i pollici a carne viva, se volesse dire prendere uno di quei cuoricini colorati al tentativo 506. Perché, alla fine, chi cazzo fa caso all’hardware in mano se dall’altro lato c’è un gioco che ti tocca il cuore?
A volte ci dimentichiamo che il nostro medium preferito è fatto di esperienze e che, in nome di quelle esperienze, può valer la pena chiudere un occhio, invece di provare a darsi un tono come uno stelynch qualsiasi. Una descrizione del gameplay non ti salverà l’anima quando ti ritroverai davanti a un gioco come Death Stranding, o anche come Celeste.
So già che, come phatejoker prima di me con Hellblade, bestemmierò fortissimo con Hollow Knight e molti altri giochi che avrò su Switch, se continuo a giocare coi Joycon. Ma so anche che i giochi migliori mi permetteranno tranquillamente di andare oltre quegli accrocchi del demonio e di apprezzarli per quello che sono effettivamente. Perché il punto è uno solo.
Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?