L’originalità nei videogiochi è come l’orgasmo femminile: se c’è è meglio, ma non è fondamentale per la riproduzione.
Disclaimer: è una considerazione prettamente biologica (anzi, meccanica), quella qui sopra. In qualunque altro contesto sarebbe un ragionamento egoista, sessista, maschilista e un sacco di cose brutte purché finiscano in -ista (e chi le dice abbia un pene). Ai fini del concepimento l’orgasmo femminile non è necessario. O, per metterla giù in modo più prosaico, potete ingravidare il vostro partner sessuale anche se non lo fate venire. Chiaro che approcciando il sesso da un punto di vista ricreativo il discorso si ribalti, ma riducendo la questione al punto di vista del tramandare le proprie disgrazie genetiche (che perifrasi molto Kojima per dire scopare, oh) è così: l’orgasmo femminile è qualcosa di auspicabile ma non necessario, l’equivalente di, boh, un arcobaleno dopo la pioggia, o la presenza del Cummenda Stefano Calzati in un nostro podcast. Qualcosa che se c’è magari ti evita di essere miseramente abbandonato in autogrill come il cane che sei, ma che non è bloccante. 9 mesi dopo l’infante viene comunque deployato dalla vagina.
E ok, ma perché questa introduzione alla Super Quark? Presto detto. Perché vale la stessa cosa per l’originalità nei videogiochi. L’originalità nei videogiochi è qualcosa che se c’è è meglio, ma non impedisce la riproduzione in caso contrario. Come appunto l’orgasmo femminile.
Cazzo dici, noi giochiamo solo roba originale, il derivativo è merda. Lo so, lo state pensando. Figli di un’estate a comprare CD masterizzati in spiaggia dagli ambulanti che avete iniziato a giocarla su PS3, la roba originale. Se vi chiedessi di scegliere tra un gioco originale e uno derivativo rimanendo sul vago, il 90% di voi risponderebbe che quello originale è ovviamente molto meglio dell’altro. Che merda, l’altro. Non lo voglio manco sentire nominare. Se però vi dicessi che il gioco originale è Katamari Damacy e quello non originale è The Last of Us Part II, quale dei due vorreste tra le mani adesso?
Originale è meglio di derivativo, ma "Katamari" pensiamo che sia una bestemmia in giapponese e The Last of Us ce lo siamo giocato tutti
I
sepolcri videoludici sono pieni di belle idee originali
morte malissimo, titoli che hanno provato a portare avanti una visione inedita o un messaggio diverso da quello che ci troviamo abitualmente davanti quando premiamo il
tasto start — che poi non ho mai capito perché dicono “premi start” e poi in realtà basta
pigiare un tasto qualunque. Qualcuno di voi si ricorda di
Starhawk per PS3? Uno sparatutto in terza persona
a metà tra western e sci-fi, con alcune meccaniche da strategico in tempo reale che richiedevano di accumulare risorse per costruire edifici, ostacoli e insomma, più o meno era una vers
ione più Age of Empires di Fortnite prima che Epic facesse i soldi con la Battle Royale
aggratis. Ma uscendo dalla roba di nicchia c’è anche
Evolve, che con l’idea di multiplayer
non bilanciato 5 contro 1 (e non è una battutaccia sulla masturbazione) aveva
davvero portato qualcosa di fresco sullo scaffale, negli anni del dominio incontrastato di Call of Duty e di
quel tipo di sparatutto in prima persona. E si potrebbe andare avanti praticamente all’infinito, a citare esempi e controesempi che dimostrano come nella pratica l’originalità sia
tutt’altro che fondamentale, perché per ogni prodotto creativo e rivoluzionario arrivato al grande pubblico ci sono almeno una decina di
cloni,
like o
cosi più o meno ispirati a. E non c’è niente di male, è naturale che sia così. È semplicemente il sintomo di un
problema più profondo della natura umana. I videogiochi (come al solito) sono solo la cartina tornasole che conosciamo meglio e quindi diventa
antropologia for dummies. Al netto del fatto che siamo dei
conservatori di merda e rifuggiamo da qualunque novità (che è il motivo per cui
daremmo fuoco a Google Stadia già
dopodomani, potendo), capire qualcosa di inedito richiede uno
sforzo. Perché è nuovo e non abbiamo strumenti di confronto, e dobbiamo inventarceli. Se non
addirittura scavare dentro noi stessi e chiederci se quello che stiamo vedendo/giocando/percependo
ci piace o no. Sembrerà anche una cosa
banale ma se lo è allora spiegatemi perché poi cercate su Internet le recensioni alla ricerca di conferme.
Sembrerà una cosa banale ma se lo è spiegatemi perché andate su Internet alla ricerca di conferme
quell'infame del dev deve capire come spiegarsi
Ma vale la stessa cosa
dall’altra parte del tool di sviluppo, perché anche quel
povero stronzo dello sviluppatore deve
capire come spiegarsi e farci digerire le sue idee. Cioè, se vuole avere la speranza di poter pagare la bolletta della luce a fine mese. Ecco che l’originalità nei videogiochi diventa una sfida,
quasi un
problema. L
’usato sicuro diventa una corsia preferenziale e si cavalcano i pochi spunti originali che ce la fanno finché il cavallo non muore di infarto sotto la sella. A questo punto dirai
vabbè, ma vale solo per quelli con i soldi. Gli indie no, gli indie fanno videogiochi per amore del videogioco. Come ti sbagli. Se prendiamo 1000 titoli indie, 999 sono cose che mungono vacche da cui abbiamo
già ciucciato il latte: il grande ritorno delle avventure grafiche alla LucasArt, degli arcade da sala giochi, della nostra cazzo di infanzia dove
tutto era più facile sopratutto i videogiochi, col 100% di
polli di gomma con la carrucola in mezzo in più e senza i temi scomodi di attualità o la presunzione di voler raccontarmi
qualcosa. Per ogni Pony Island ci sono almeno una ventina di
Black Paradox. E per ogni *
titolo a caso di Fumito Ueda* ci sono una marea di Borderlands. Titoli solidissimi e dannatamente divertenti che non si sono inventati
niente.
E va benissimo così: se l’originalità nei videogiochi è un pregio non vuol dire che il contrario sia un difetto…