Sì, hai capito benissimo.
Correva l’estate 2001 e non sapevo niente di JRPG e roguelike. Ero anche totalmente all’oscuro dell’esistenza di Rogue. Eppure, non appena giunto nel negozio di videogiochi mi innamorai di quel jewel case così esotico e particolare. Pur avendo una copertina sulla quale torreggiava unicamente il logo della serie, rimasi affascinato dalla presenza di ben quattro dischi.
Apparì fin da subito come il regalo di compleanno perfetto, ma fu un acquisto che andò incontro a una serie di problemi. Ero in vacanza al mare e avrei dovuto aspettare due settimane prima di ritornare dalla mia console. Bravo coglione. La ludopatia era già più forte di me. Leggere e rileggere il corposo manuale non era abbastanza soddisfacente, Final Fantasy IX andava provato subito. Mio cugino aveva sì una Playstation, ma mi ritrovai a firmare un patto col diavolo: la sua console non aveva una dannatissima memory card.
Final Fantasy IX è stato un insegnante spietato. Anche se artificialmente, aveva reso gli insuccessi parte integrante dell’esperienza. Dei fallimenti da collezionare come in The Longing. Solo che non c’era alcun sovrano da attendere, ma solo la possibilità di poter salvare. La memory card era la chiave per restituire al gioco la sua effettiva natura di jrpg. Tuttavia, la continua ripetizione del prologo non era mai davvero frustrante; anche solo riuscire a fuggire dalla Foresta del Male dava la stessa soddisfazione di un boss finale sconfitto. Era come concludere il loop di un roguelike. Sensazioni indistinguibili dallo sconfiggere Mom in TBOI per scoprire che era soltanto un inizio. La presenza di una permadeath incisa in ogni sessione non fu mai un ostacolo. Premere avvio era l’azione più naturale di sempre. Le note di A Place to Call Home erano sempre pronte ad affievolire l’amarezza della sconfitta.
Premere avvio era l’azione più naturale di sempre
Paradossalmente Final Fantasy IX si prestava a essere fruito anche in quel modo così affannato. Anzi, il gioco premiava esattamente quel tipo di approccio. È infatti presente un’arma, Excalibur II, ottenibile raggiungendo una delle aree finali in meno di dodici ore. Una ricompensa che richiede una conoscenza perfetta del mondo di gioco. Una sfida impossibile senza ripetere delle sezioni fino alla nausea. Un segreto che spinge il giocatore a fare dei sacrifici, a rompere con la forza gli schemi del JRPG. Possibilità estremizzata nella remaster grazie all’introduzione dei cheat. Invincibilità, rimozione degli incontri, velocità di movimento raddoppiata: tutti strumenti per demolire la struttura originaria di Final Fantasy IX. Ancora una volta, intaccare questo schema sacrale non inficia l’esperienza di gioco. L’opera di Itō Hiroyuki non crolla per così poco. Anche perché il combat system era già tremendo di suo.La fantasia finale rimane tale a prescindere dal tipo di approccio. Uscire dai binari del JRPG, arrivare al punto da vivere un’esperienza roguelike non tradisce in alcun modo l’autore. Il suo mondo e il suo messaggio rimangono intatti anche giocando con le meccaniche invece di assecondarle.
Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?