Dai che per una volta hai ragione. Hai visto la headline e visto che oggi scade l’embargo sulle recensioni di The Last of Us Parte 1 hai sperato in un dissing. Volevi un po’ di drama. Perché sì sa, che come tutti i poveri noi della Game Critic sappiam fare benissimo soprattutto una cosa, cioè la guerra. Oppure magari t’aspettavi davvero di leggere una recensione su ‘sto cazzo di remake di The Last of Us. Se ne parla dall’annuncio e s’è detto tutto e il contrario di tutto. È inutile. No, è utile ma solo se lo giochi su PC. Esce solo per capitalizzare la serie tv quindi è una bieca operazione commerciale. Non me ne frega un cazzo. Questo è un articolo clickbait e quindi si parla di cose che con The Last of Us Parte 1 non c’entrano un cazzo.
Il punto è questo: mi sono rotto il cazzo di dover parlare sempre del gioco del momento. Nel caso specifico di The Last of Us ritengo che non ci sia nulla da aggiungere al discorso. Nulla che la folla inferocita di droni PlayStation sia disposta ad ascoltare comunque. Per me The Last of Us nel 2013 è stata una gigantesca allucinazione collettiva, il prodotto che rappresenta alla perfezione una generazione sbagliata videoludicamente parlando.
The Last of Us è uno di quei giochi che urla prepotentemente “guarda mamma, come Hollywood” cercando di arrivare al riconoscimento del medium come arte con la mimesi di un’altra forma d’arte. È quanto di più distante ci possa essere da quello che il videogioco dovrebbe essere secondo me, cioè qualcosa che utilizza il suo linguaggio per raccontare quello che ha da dire.
The Last of Us Parte II in diversi momenti lo fa, The Last of Us no. Ora, indovina quale dei due è stato definito il Quarto Potere dei videogiochi? Tutto quello che ho da dire su The Last of Us è questo. Solo che non si può dire perché come tutto ciò che è unpopular viene recepito come voler fare l’alternativo. E tendenzialmente anche stica, solo che questa volta non ci tengo così tanto ad espormi a questo circo perché oh, con tutto che lo ritengo sopravvalutatissimo a me The Last of Us è garbato. Pure discretamente.
È un gioco orribile ma con atmosfera [cfr. Calzati] per cui non vale la pena fare tutto questo casino. Non mi va di parlarne, soprattutto se devo farlo solo perché è il gioco del momento.
Parrà la rosicata di uno che tanto all’embargo di The Last of Us Parte I comunque non poteva partecipare. Scrivo da una decina d’anni e che tu ci creda o no dieci anni fa era più facile. Pure con un blog tutto sommato scusagno che contava più caporedattori che visitatori mensili si riusciva a partecipare al grande gioco della Game Critic degli Adulti™. Inviti agli eventi, anteprime stampa, gadget e codici. Due stronzate in embargo sono riuscito a scriverle pure io, complice il fatto che ero uno dei pochi ad avere una PS4 o un Wii U in “redazione”. Ed è proprio lavorando alla recensione in embargo più grande della mia carriera® che mi sono reso conto di quanto quello che stavo facendo non avesse senso.
Ti diamo Bayonetta 2 tipo un mese prima di tutti i plebei. Gran ficata. Solo che ci devi scrivere tre anteprime, entro questa data non puoi parlare dei costumi, entro quest’altra delle armi. Anche quando devi uscire con la recensione comunque non puoi dire questo e quello, con tutto che la sera prima della scadenza dell’embargo il Nintendo Direct sul gioco sputtanava tutto quello di cui i giornalisty non potevano parlare. La perfetta definizione di segreto di Pulcinella.
Non sto dicendo che il sistema sia sbagliato o che sia una merda, ma al massimo che impedisce un certo tipo di analisi. E questo non fa – più – per me. Ho dimostrato quello che dovevo dimostrare. A chi, poi, non lo so manco io. Se ripenso a quegli anni vedo solo un ragazzino con tanto tempo da perdere che sognava di apparire invece di provare ad essere. Adesso mi interessa avere qualcosa da dire, prima di aprire la bocca. Piaccia o no il metodo, l’approccio, l’idea. Adesso il punto è fare la differenza o fallire provandoci, non giocarsi il giochino in anticipo rispetto a chi poi costruirà il vero dibattito.
Per lo stesso motivo mi pesano anche le recensioni quando il codice ti arriva al day one. Perché comunque un po’ tutti – te, il PR, la gente con cui fai le stronzate – s’aspetta che comunque in 10-15 giorni te ne esci con qualcosa.
Se il gioco non mi ha toccato, non mi ha suggerito nessuna chiave di lettura interessante, è rimasto bloccato nel Canto III della Commedia assieme agli ignavi? Le cose migliori che ho scritto le ho scritto parlando di videogiochi che ho comprato per i cazzi miei. Come facevo a sapere prima di giocare Returnal che Selene m’avrebbe ricordato un’altra persona – S. anche lei – e che proprio per quello mi avrebbe fatto vedere Selene come una persona in fuga da sé stessa? Chiaro, ti butti, ci provi.
Alle volte ci prendi, alle volte riemergi dal mucchio di email finite nello spam e novità nella homepage di Steam con un Everhood, con un Golf Club Wasteland. Altre volte ti fidi di [cfr Calzati] o di Fra o di una persona qualunque che per qualche motivo sta parlando di un giochino che gli è piaciuto su @JoinTheRebellion. Alle volte va male. Sbagli, perché l’errore è umano. E ti trovi incastrato davanti al documento bianco di Word e il word-count diventa una prigione insopportabile, per te che hai assaggiato la libertà e ti eri illuso di averla raggiunta per sempre. Quello che nessuno ti dice quando parla del suo sitino di giochini alternativo al sitino di giochini degli altri è che la libertà è una cosa che devi continuare a scegliere giorno per giorno.
Quindi ecco. La vita è troppo corta per rigiocarsi The Last of Us se non hai un cazzo da aggiungere al discorso attorno a The Last of Us. Non ce la faccio più a fare queste cose per dovere. Ho bisogno di sentire l’entusiasmo in quello che scrivo, pensare a quanto è furba l’idea dietro al pezzo, a quanto ho spaccato nella sua esecuzione. Non ci riesco sempre e quando non ci riesco ci patisco. Mi sento di nuovo quel ragazzino che ha scelto di apparire invece di provare a essere.