TW: nel corso dell’articolo viene usata una parola omofoba e dispregiativa che potrebbe urtare la sensibilità di alcuni.
A un certo punto ti fermi a riflettere in una quieta domenica e ti rendi conto che hai 27 anni. Ti ricordi ancora quando appena adolescente pensavi segretamente di voler fare qualcosa di figo entro quell’età lì, e poi crepare, col mito del club 27, che alla fine è un mito del cazzo che dovremmo smettere di raccontare ai ragazzini. La verità è che è solo paura di invecchiare, che anche lì veniamo su col mito che bisogna godersela entro i trent’anni, che poi la vita diventa piatta e finisce. Quante cagate ci inoculano da ragazzinə.
Non binaryÈ un gioco indipendente nato da un piccolo studio italiano, in circa un’ora mette lə giocatorə a disagio nei panni di due personaggə non binarə
No, in realtà non è solo una quieta domenica. In realtà ho appena “finito” di giocare Non binary, ed è per questo che mi sono messo a riflettere. Nei ricordi di quei due personaggə ci ho rivisto tanto dei miei, e il disagio che ho provato nel premere quei pochi tasti è stato un po’ anche quello che avevo a otto anni quando su quel campo di pallone in cemento dovevo mostrarmi il più forte e il più maschio possibile. È anche lo stesso disagio che provo adesso a ripensare a quante volte ho dato del gay, del frocio, della femminuccia a qualcuno, a un amico, a mio fratello. E quanto vorrei tornare indietro e dire a quella versione di me di smetterla, cercare di spiegargli che avevo solo scelto di identificarmi in una mascolinità in cui avevo deciso di rivedermi, ma non ero neanche davvero così.
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Siamo il prodotto di tante cose, ma in primis dei genitori. Sono sempre stato un po’ mammone, con mia madre ho sempre avuto un bel rapporto, parlandole di tutto e copiandole le passioni, la spinta politica e un certo spirito critico. Al tempo stesso ho sempre avuto intrinsecamente questo mito di mio padre maschio vero, che va in moto, gioca a biliardo, gioca a poker, che risolve i problemi, che parla poco, ride poco, è risoluto. Sono figlio del mio tempo, della provincia che mi ha cresciuto, di quei ragazzini con cui giocavo a pallone che chissà, magari negli anni anche loro si sono resi conto di quanto quegli atteggiamenti fossero una merda stupidi e tossici. Di quanto stessimo tutti cercando di dimostrare di essere più maschi degli altri, che alla fine a che cazzo serve?
Non sono la persona giusta per parlare di non binarietà, perché alla fine sono comunque etero e cis. Però giocare a Non binary mi ha fatto pensare a quanto tutta la mia infanzia e la mia adolescenza siano state incanalate in una direzione, assieme a quella di tutti gli altri che mi circondavano, anche inconsciamente. E mi ha fatto pensare a quanto ancora sicuramente in quella provincia, come in chissà quanti altri posti nel mondo, si spinga fortemente fin dall’infanzia qualunque bambino a incanalarsi, a suon di pallonate, a suon di botte, a suon di impennate con la bici, di rutti, di sputi, di gesti da very maschy e altre cagate simili.
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E penso che poi ci sono stronzi che vogliono i concetti gender rigorosamente fuori dalle scuole, che lə bambinə non bisogna influenzarlə, anche se in realtà lo si fa da sempre, sistematicamente e pesantemente. E penso che forse far giocare a Non binary potrebbe servire a qualcuno più di quanto è servito a me, magari a fargli provare anche solo per un attimo quel disagio, quella sofferenza che non si è mai provata davvero nella vita perché sono riusciti a incanalrci fin da subito e farci limare piano piano tutte le “stranezze” che non rispecchiavano perfettamente il nostro organo genitale.
In realtà penso che sia servito tanto anche a me. A farmi scendere un paio di lacrime, certo, ma anche a ripensare a quanto sono stato un ragazzino coglione. A quanto un po’ sia migliorato, ma potrei ancora migliorare.