Non è tutto oro quello che Devolver pubblica, e ci sta, ci piace anche l’argento eh. A Pepper Grinder manca proprio quella roba lì, quasi indefinibile, che hanno invece un Katana Zero, un Gato Roboto, un Hotline Miami.
Sarà per la sua struttura a livelli estremamente schematica, sarà per la sensazione che l’idea di base sia efficace giusto giusto finché dura (meno di 4 ore se non siete dei completisti), sarà che la meccanica di trivellare il terreno e scavare in giro (in modo molto simile di quanto avviene in certe sequenze di Ori and the Will of the Wisps) si prestava benissimo ad un level design aperto e interconnesso, che rispondesse alla mia insaziabile fame di metroidvania, lasciandomi in bocca quel retrogusto di occasione mancata.
Non che sia un titolo da buttare, anzi, è un platform 2D brillante, veloce, asciutto, con una gran pixel art e quel gusto per il gore, quello si, molto Devolver. Divertente, con un sistema di controllo bello reattivo e delle variabili fighissime, tra cui sezioni sparatutto e a bordo di mecha steampunk con cui devastare certi livelli. Pepper Grinder è però un po’ lo specchio di una Devolver che da un paio d’anni (da Cult of the Lamb) non riesce a trovare una hit, laddove competitor come Annapurna ne trovano a ritmo semestrale. È un po’ come se, di colpo, Marotta cominciasse a sbagliare l’ingaggio dei parametri zero, una roba che si fa fatica a metabolizzare.
Però insomma, l’ho detto all’inizio, ci piace anche l’argento, pure il bronzo, e Pepper Grinder, comunque, va a medaglia nella specialità del platform con trivella (raggiungendo il dimenticato Drill Dozer di Game Freak per GBA in questa specifica categoria)