L’ultima volta che ho giocato il capolavoro di Jason Rohrer era il 2013. Ai tempi non colsi immediatamente una serie di sfumature che oggi, invece, fanno parte del mio quotidiano. Passage parla di quella cosa infame chiamata vita, che poi tanto infame non è; nasciamo, stabiliamo legami, ci innamoriamo, soffriamo, condividiamo esperienze, viviamo storie e alla fine moriamo in preda ai rimorsi per non essere riusciti ad essere abbastanza, per non essere riusciti a dare agli altri ciò che realmente meritavano.
Sono gli eventi fondanti della nostra persona, quelli che hanno plasmato la nostra individualità rendendoci un essere unico.
La storia di Passage è molto semplice: un uomo incontra una donna, si sposano e alla fine muoiono. Il gioco riassume in cinque minuti una vita intera, con tutto quello che ne consegue. Sono abbastanza cinque minuti per riflettere sulla nostra condizione? Per Rohrer sì, a quanto pare. Avvicinandomi ai trent’anni ho iniziato ad avere i pensieri, come si dice dalle mie parti. Ho iniziato a realizzare un fatto tanto semplice quanto triste: le persone che amo un giorno non ci saranno più. Quando sei con gli amici, con i parenti, col cane o col gatto, subentra un improvviso nodo alla gola: questi esseri – i quali hanno avuto un impatto enorme o insignificante sulla tua persona – cesseranno di esserci, e tu non potrai farci nulla.
Osservando i loro corpi esaurire la linfa vitale residua, basteranno cinque minuti per ripercorrere il vostro vissuto? Basterà ciò che ti rimane della tua vita per esorcizzare il senso di colpa dovuto alle mancanze nei loro confronti? Riuscirai a perdonarti senza affogare nel rimorso? Cercherai rifugio nei momenti di gioia passati assieme?
Sia chiaro, le mie non sono moine sentimentaliste a buon mercato, bensì le paturnie di una persona vicina alla soglia dei trenta che vede tutto e tutti invecchiare, proprio come il protagonista di Passage.
Proseguendo nel gioco, i due protagonisti si avvicinano progressivamente verso la parte destra dello schermo (il futuro), mentre quella sinistra (il passato) pur allontanandosi conserva una parvenza di ciò che abbiamo vissuto nelle fasi iniziali della nostra vita. Più invecchiamo, più il passato colonizza i nostri spazi mentali. E chissà come ci apparirà la nostra esistenza negli ultimi cinque minuti di vita.
Ripenserai a quando hai scritto quell’articolo su Passage, che in fondo era soltanto una scusa per parlare del malessere che ti affligge nel buio della notte e di quanto ti spaventi l’idea del tempo che scorre.
Questo articolo è frutto dell'iniziativa Crowdsourcing sovversivo di Gameromancer. Che è 'sta cosa?