Il nostro grande problema come specie è che viviamo secondo dogmi.
L’ananas sulla pizza è eresia, nella carbonara la panna è assolutamente proibita e Metal Slug è un run ‘n’ gun. Anzi, IL run ‘n’ gun. Non può e non deve assolutamente esistere in altre forme. Sarebbe un disastro, un tradimento, verrebbero meno i fondamenti stessi della realtà. L’idea di trasformarlo in uno strategico a griglia poi… Non è mica Final Fantasy, lì si che la parola “Tactics” dopo il titolo è concepibile. Metal Slug è un’altra cosa. È azione. È frenesia. È muoversi e continuare a sparare, roba che non si può rendere a turni.
Dove lo prendo? Bella domanda. L’interfaccia è gestibile comoda comoda pure col controller, ma chiaramente con mouse e tastiera è un’altra cosa. Tende a popuppare molto, quindi diciamo che su Switch non è proprio il massimo.
Viviamo secondo dogmi. Soprattutto nei videogiochi, dove abbiamo questa orribile tendenza a ridurre quello che giochiamo al suo genere. Questo in barba al fatto che spesso un genere in senso stretto manco esista, perché Borderlands è uno sparattutto o un RPG?
È una cazzata, perché lo stesso Borderlands ha dimostrato di poter essere anche un’avventura grafica a la Telltale, e ti sfido a dire che Tales from the Borderlands non sia un capitolo autentico della serie. Lo è pure più di The Pre-Sequel.
Ecco, Metal Slug Tactics è un’operazione di questo tipo. Non è l’ennesima occasione in cui mercificare Metal Slug con un adattamento più o meno riuscito di meccaniche che si rimpastano fin dai tempi delle sale giochi. È il lavoro di uno studio che si è chiesto cosa renda Metal Slug, beh, Metal Slug e ha dato la risposta esatta.
Perché sì, Metal Slug è corsa e spari, ma invece viene fuori che puoi tranquillamente farle diventare meccaniche che funzionano a turni.
Di solito in uno strategico a griglia giochi per non farti colpire. Disponi le truppe come un novello Napoleone, magari ne sacrifichi pure qualcuna, ma l’idea è quella di dimostrare supremazia sul campo. E la supremazia si ottiene colpendo senza farsi colpire, non c’è scampo, era così pure in quella droga che risponde al nome di Tiny Metal.
Ecco, Metal Slug Tactics si basa quasi del tutto sull’accettare di farsi colpire. Le truppe (una squadra di tre personaggi vecchi e nuovi, si inizia non a caso con Marco Rossi) devono continuare a muoversi, perché muovendosi guadagnano dei bonus che riducono o cancellano i danni che subiscono e contemporaneamente possono attaccare in catena. Quando una truppa nemica è nel raggio d’azione di più personaggi infatti questi l’attaccano assieme, moltiplicando il numero di offensive possibili all’interno dello stesso turno.
È un gioco sporco, Metal Slug Tactics, dove bisogna abbandonare l’idea di giocare una partita perfetta no-damage e abbracciare una filosofia diversa. Fatto questo però l’esperienza è tremendamente appagante, soprattutto man mano che i personaggi salgono di livello e sbloccano nuove skill che rendono il gameplay più… Tattico.
Metal Slug Tactics non si fa mancare manco le Boss Fight tipiche della serie, che si intervallano alle missioni normali ad obiettivi (tipo “ammazza i bersagli” e cose del genere). Tutto quello che si gioca ricompensa ulteriormente completando anche delle condizioni aggiuntive, tipo il terminare la battaglia entro un certo turno o utilizzare una determinata tattica. Ma queste sono cose che van lasciate scoprire a chi deciderà di giocare il gioco.
Quello che dovevo dire qui l’ho detto: abituiamoci a mettere in dubbio Dio.
Perché è solo mettendo in dubbio Dio
che poi può uscire roba come Metal Slug Tactics.