SegheMentali Ma che bello l’Alto Castello

Marcondirondirondello

Quest’estate, come la scorsa e quella prima ancora, l’ho passata a guardare le vacanze dellə altrə sul mio cellulare. E fondamentalmente mi sta bene così. Anche se lavorativamente parlando ne avessi la possibilità ma chi cazzo me lo fa fare di andare in ferie in mezzo al caos?
Code in autostrada, code al casello, code al parcheggio e per andare a cagare. Me ne sto a lavoro, meglio così.
Ma lavorare con la gente che sta in vacanza ti porta a dover ascoltare i cazzi loro e le loro lamentele, che otto su dieci sono sonore puttanate tipo il salmone “non autoctono che fate arrivare dalla Norvegia” e simili.

Ne potrei scrivere delle cazzate che sento a lavoro, ma rischierei di finire come Julien Assange

E si, le cassi con un sonoro sticazzi, ma poi ci rifletti e ti chiedi “ma ‘sta gente che cazzo di problemi ha?”
E allora realizzi che per chi non ha nessun altro cazzo di cui lamentarsi quel salmone è un il problema, che chi sta sotto non lo capirà mai e che, purtroppo, tutto questo funziona come uno specchio: chi non ha problemi spesso non capisce quelli altrui, e se non lə riguarda non lə appartiene.

Not my monkey, not my circus

E forse non è nemmeno carenza di empatia, ma semplicemente non ci si arriva. Perché parliamoci chiaro: sentir gente piangere miseria mentre sta col culo sul BMW che usa per lavoro (la macchina da serata sta in garage, barbonə) a noi fa incazzare, soprattutto perché per loro il problema è riassumibile in Reddito di Cittadinanza. E quando non è il R.d.C. sono gli scioperi, i sindacati, ‘sta dipendente che si è messa in maternità e ci ha lasciato in merda e via discorrendo. Tranquillə, i capri espiatori non mancano mai.

E cazzo se chi sta nella stanza dei bottoni gli va dietro. Soprattutto alla luce della coerenza di chi ci governa, che trova il coraggio di definire il taglio delle accise “un favore a chi guida i macchinoni” mentre prova a levar loro il superbollo definendola “una tassa ingiusta”. E questo giusto per fare un esempio, pure tra i meno pesanti viste certe recenti dichiarazioni in televisione riguardanti Cappuccetto Rosso e i lupi cattivi.

Poco importa come ce la raccontiamo: noi stiamo sotto alcunə e sopra ad altrə, e ci staremo per ancora molto tempo vista l’aria che tira, col rischio che queste forbici che ci separano si aprano sempre di più. Coi nostri cazzi, i nostri problemi e le nostre menate, a sentirci dire “pensa a chi sta peggio” mordendoci la lingua e mettendoci le mani in tasca, giusto per evitare querele per ingiurie e percosse.
E porca troia se ci penso. Ma purtroppo penso anche a chi sta meglio e mi guarda dagli spalti, mentre sto correndo per finire un altro giro di pista. Penso anche a tutte le volte che mi è stato chiesto “ma sei sempre qui a lavorare?” da persone sconosciute, che si sono sentite simpatiche per un attimo ed ho voluto dovuto far finta di reputarle tali.

Ma il peggio è quando mi chiedono quando penso di mollare i giochini e fare unə figliə

E giuro, io vorrei rispondere “spero presto“, ma poi mi ricordo delle spese, delle rate, del cazzo di mutuo e della carta “Imprevisti” nel mazzo. E allora alzo spallucce e rispondo solo “chi lo sa”. Perché come per tantə altrə quello della famiglia è un sogno nel cassetto, uno dei pochi che non è stato depredato dallo scorrere degli eventi, dal fato o da chi è arrivato prima a mangiare al buffet.

“Scegli la Vita” scriveva Irwine Welsh. Sceglila, insieme al lavoro, la carriera, la famiglia ed il megatelevisore del cazzo. Beatə chi ha avuto il lusso di poterle scegliere queste cose, perché per tantə altrə sono sogni infranti dal nepotismo, dal maschilismo, dalle politiche di assunzione. O, molto semplicemente, dalla sfiga.

Almeno restano i cassetti dove frugare. Che forse a guardar bene tra i cocci si riescono a trovare i soldi per lə psicologə.