Ma perché se ho già registrato una recensione di The Cub sono qui a scrivere una recensione di The Cub? Boh. Forse perché lo aspettavo pesantemente. E un po’ mi ha deluso e te lo voglio raccontare, cercando di mandare giù questo amaro. L’amaro del Cub, appunto. Te però a questo punto te la leggi. Si chiama rispetto. Anzi no, ascoltatela. È sicuramente più divertente il Gameromancer Col Rolex a tema. Ed è pure gratis.
Golf Club Wasteland (che adesso si chiama Golf Club Nostalgia) era una ficata pazzesca. Come ogni adulto razionale odio il golf e odio ancor di più le sue incarnazioni videoludiche, e il primo Golf Club Wasteland peraltro il golf lo realizzava pure “male”, in senso lato, mascherando quello che in realtà era un platform dove il personaggio si sposta a seconda di dove finisce la pallina. Aveva perfettamente senso, perché (mi) restituiva quello che poi è il nocciolo del discorso: la vita su Marte fa così schifo che è meglio rompersi i coglioni golfando su una Terra completamente fottuta che rimanere sul rosso pianeta bolscevico e traditor a bere il proprio piscio. La cosa sul piscio è vera, perché è così che su Marte distillano l’acqua.
Giocando Wasteland Nostalgia sono impazzito, il gioco mi ha dato così tante idee e sensazioni e insomma è un capolavoro che se non hai ancora recuperato devi recuperare. Va da sé che mi sono approcciato agli altri due titoli nello stesso universo narrativo (Highwater e, appunto, The Cub) aspettandomi di averne ancora. Highwater alla fine è uno strategico a griglia come tanti altri, sta su mobile (è incluso nell’abbonamento di Netflix) e dovrebbe arrivare quest’anno su console. Ma non è nulla di che.
Mi ha lasciato un po’ di amaro perché è un po’ ingenuo. Una delle idee più interessanti di Golf Club Wasteland era Radio Nostalgia From Mars. Era un layer narrativo per cui lo speaker della trasmissione portava ospiti e testimonianze di com’era la vita sulla Terra in cui le persone coinvolte raccontavano quanto il governo avesse abusato di loro e come fossero di fatto stati costretti a salire sul razzo per Marte.
Lo speaker davanti a queste cose distorce la narrativa, sovvertendo completamente il messaggio che arriva all’ascoltatore. Non so se sia per una sua auto-illusione o perché è a servizio del regime. Pensavo fosse la seconda ipotesi, ma poi Scibetta m’ha fatto venire il dubbio. In ogni caso c’è questo livello narrativo che passa tutto dall’audio. E funziona perché puoi fermarti ed ascoltare, perché il gameplay di Wasteland è ragionato, un po’ come nel golf.
In The Cub non può essere così, perché The Cub ha l’ambizione di essere un platform vero. In The Cub si gioca, ci si arrampica, vanno calibrati i salti. Peggio ancora, in The Cub l’errore lo paghi carissimo, perché i checkpoint sono disseminati un po’ a caso e non paghi di questo i dev han pure infilato un paio di sezioni dove la curva di difficoltà impenna senza avvisaglie.
È un gran peccato, perché le vibes da tie-in di Tarzan per PS1 (1999) ci sono tutte, e per quanto la narrativa “per ambienti” non sia riuscita tanto quanto quella di Wasteland i collezionabili danno un contesto molto più ampio di cos’è successo sulla Terra e di come siamo arrivati a dover colonizzare Marte senza esserne davvero all’altezza. The Cub in questi momenti mostra una grandissima profondità, riuscendo a raccontare tanto la vicenda umana zoomando sul singolo personaggio tanto quanto il quadro generale.
È un po’ anche quello che ho provato a raccontare col mio contributo in Natura in Pixel, quell’auto-inganno di Gaia per cui ci siamo convinti che la fine della nostra specie coincida con la fine del mondo e invece LOLLONE. Il problema siamo noi e la nostra avidità senza fine, questo attaccamento alla vita a tutti i costi che ok, ti porta su Marte, ma una volta arrivato lì è ancora vita? Senza il vento che ti accarezza mentre vai in moto. Senza i tuoi affetti, senza il resto dell’ecosistema, senza più un senso.
Charlie alla fine di Golf Club Wasteland – SPOILER! – dice una cosa di una profondità sconcertante. Così profonda da far paura quando la guardi davvero, perché è come affacciarsi su un dirupo, come realizzare improvvisamente quanto siamo stronzi e ciechi come specie. “Meglio morire sulla Terra che vivere su Marte“. Anche se la Terra è diventata quella inospitale di The Cub, se viverci vuol dire piegarsi a cose di cui faremmo volentieri a meno tipo la penultima sezione del gioco con bufali.
The Cub è soprattutto un monito. L’ennesimo monito che il videogioco ci trasmette sulla tematica. Ignoreremo anche questo, perché dopotutto lo ignoriamo fin dai tempi di PS1 dove altro che il tie-in di Tarzan, era Final Fantasy 7 ad avvisarci delle conseguenze della direzione che stavam prendendo.