Star Wars per molti della mia generazione è sempre stato una roba del passato. Citato costantemente da una miriade di serie e film visti da bambino finivi per conoscerlo attraverso citazioni di Zurg a Buzz Lightyear e battute come la “linea Ewok” di Barney Stinson, ma se non avevi un parente, tipo il padre o la zia, o un fratello una decina d’anni più grande, ti fermavi lì. Poi magari a un certo punto ci provavi anche a vederti questi vecchi film di fantascienza, ma tra la confusione iniziale di capire che il primo fosse Episodio IV, la seguente noia soporifera di A New Hope agli occhi di chi ha visto Il Signore degli Anelli e Avatar, e la banalità di una fantascienza troppo pulita, troppo bianca o troppo nera, troppo pomposamente epica, alla fine ti restava un sapore insipido, come un’insalata con poco sale e poco olio.
Eppure Star Wars volente o nolente te lo devi sorbire. Perché l’infinita spremuta del brand continua sempre e costantemente a sfornare roba e somministrare merchandise, specialmente ora che c’è di mezzo pure Disney. E ogni tanto qualcosa di buono ci esce pure. Una volta magari un film spin off. Un’altra una serie western nello spazio. Un gioco d’avventura a cui non avresti dato un soldo, sarà il solito tie-in pigro che vende ai fan della serie e basta, e invece.
E invece Jedi Fallen Order è stato una sorpresa ben oltre quello che mi sarei aspettato. Ne avevo sentito parlare bene da qualche amico. Poi timidamente anche da qualche critico, ho ascoltato la storia del suo sviluppo in Storie di Videogame, alla fine ho ceduto alla curiosità.
E meno male, perché è uno degli action adventure più fighi degli ultimi anni. Dietro quell’aspetto da gioco su licenza fatto per vendere ai fan si nasconde un incrocio di elementi che rendono l’esplorazione estremamente stimolante, i combattimenti un bello spettacolo di spade laser ma anche una roba equilibrata e appagante e con la giusta dose di lore di Star Wars.
Gli elefanti mi stanno simpatici, ma in questa stanza ce n’è uno enorme ed è inutile evitare di fargli body shaming. Lo dico subito: Star Wars Jedi Fallen Order è un gioco che non si inventa nulla, piglia un po’ da qui e un po’ da lì e mette tutto assieme, però lo fa bene. Ok, dopo pochi minuti di gioco ero nella sezione del treno di Uncharted 2 riproposta in salsa spaziale; sì ok, combat system e progressione sono presi di peso dai souls e riproposti addolciti (ma non troppo) con le spade laser; sì, va bene, si va a caccia di tombe di un’antica civiltà in giro per pianeti diversi ed è letteralmente Lara Croft dentro Star Wars; però è tutto molto bello, quindi anche sticazzi.
Sticazzi perché fa bene quello che vuole fare. In un mercato di open world always bigger che troppo spesso si scorda della qualità, un’avventura così dritta e appagante e con le idee così chiare è stata un toccasana. Sticazzi perché un connubio così evidente tra elementi soulslike e l’avventura scanzonata fatta di arrampicate e acrobazie ancora non si era visto. E ci sono le spade laser che sono oggettivamente fighe. E funziona eccome, quindi datemene ancora.
Non mi metterò a raccontarvi di quanto sia “Star Wars” la trama, di quanto lo è la colonna sonora o di quanto lo è BD1 – maledetti loro che la mascotte di cui vendermi il merchandise comunque la azzeccano sempre – perché non sono la persona giusta per farlo. Però è evidente anche a chi bazzica poco questo immaginario che in Jedi Fallen Order ci sia un sacco di amore e di cura per il materiale di partenza, probabilmente più di quello che si può trovare in altre robe più di punta targate LucasFilm.
Quello che invece voglio raccontarvi è il lavoro dietro il level design che hanno tirato fuori in Respawn. Perché saltellare in giro e affettare con la spada laser è bello, ma esplorare e vedere come tutto si interconnetta meravigliosamente in quei pianetini è una gioia. Non so se a forza di sorbirci open world ci siamo dimenticati di quanto sia bello esplorare percorsi lineari, ma questo tie-in di Star Wars me lo ha sbattuto in faccia come nemmeno From Software era riuscita a fare.
Forse perché nei giochi di Miyazaki non ci si arrampica né si salta granché, forse perché raramente i mondi si attorcigliano così tanto su sé stessi, forse semplicemente perché ho bisogno del ritorno dei metroidvania 3D tipo adesso, però esplorare è stato una goduria dall’inizio alla fine. Anche perché il feeling di salti e parkour non è mica male, anzi.
All’inizio mi sono detto che la costruzione dei livelli era proprio interessante, per quanto sembrasse abbastanza semplice. Poi sul secondo pianeta mi sono detto cavolo, si interconnette tutto proprio bene, che figata. Man mano ho apprezzato sempre di più quelle mappe, e quando alla fine sono tornato sul primo pianeta dopo aver sbloccato tutti i power up volevo applaudire. Quella struttura che mi era sembrata relativamente lineare in principio adesso era un labirinto di segreti da trovare e percorsi nuovi, che si lasciava navigare con un’agilità impensabile poche ore di gioco prima.
Quindi a chi servono davvero tanti pianeti? Qua ce ne stanno sei o sette in totale, che in realtà non sono manco vere e proprie palle giganti, ma più dei formicai di percorsi interconnessi. Tra l’altro giusto quattro esplorabili liberamente, e tanto basta, questo e meno di venti ore bastano a far vivere un’avventura di esplorazione spaziale. Dei pianeti costruiti con criterio, affascinanti da vedere ma soprattutto intricati e appaganti da percorrere, senza la necessità di fare mappe aperte che troppo spesso vengono appiattite. Pianeti che spesso si sviluppano anche in verticale e che danno la sensazione di essere reali, di poter capire la geografia di quei cunicoli e orientarsi, intuire dove e come si ricollegheranno.
Jedi Fallen Order è semplicemente un videogioco d’avventura ambientato nell’universo di Star Wars, un bel gioco d’avventura. E se da un lato ogni tanto c’è del fan service abbastanza evidente, dall’altro è pure evidente che le idee che il team aveva inizialmente pensato per una nuova ip sono state tutte condensate qui, dando vita a un gioco che ha una sua anima, eccome se ce l’ha. Strizza l’occhio a Dark Souls, ad Uncharted, a Tomb Raider, a Star Wars ne strizza anche due (ovviamente), ma alla fine lascia un buon retrogusto di esplorazione, di segreti da trovare, di backtracking, di alcune boss fight a fil di spada laser davvero ben riuscite. Il retrogusto di un bel gioco, onesto e senza fronzoli, che dà il meglio di sé nella costruzione delle mappe e si fa giocare con gusto. Ad avercene.