Il golf mi fa cacare come poche cose al mondo. Odio guardarlo, e odio ancora di più giocarlo nei videogiochi. Anche nelle sue declinazioni più arcade tipo Mario & Sonic si toccano i putter a vicenda. Non saprei nemmeno spiegare perché, è una reazione a pelle che di razionale non ha nulla, puoi solo constatarla e fare il possibile per evitare reazioni allergiche. E allora perché cazzo ti sei messo a giocare Golf Club Wasteland e addirittura pretendi di scriverci una recensione?
Golf Club Wasteland è una condanna. La Terra ha smesso di essere casa dopo la Grande Calamità e ce ne siamo andati tutti su Marte. Tutti è un parolone, diciamo l’elite. Puoi immaginare che “elite” alla fine sia una bella parola per evitare di dire la verità. Chi ce l’ha fatta, ad ogni modo, è vivo. Sempre se si può chiamare vita il dover vivere una società che ti costringe a pisciare in un depuratore per poi farti bere l’acqua che ne viene distillata e pretende un controllo sulle nascite tale per cui decidono pure quando puoi farti le seghe. Se te lo stai chiedendo peraltro te le puoi fare solo quando ti dicono di andare a donare il seme.
Quel cacatoio che chiamavamo Terra manca a tal punto che la gente va a giocarci a golf. E immagina cosa può voler dire sentire una costante nostalgia per il prima e poi dover fare una buca su uno yacht dove c’era in corso una qualche festa di cui adesso rimangono solo i festoni sbiaditi. In mezzo a tanta miseria provi a distrarti dalla tua distrazione ascoltando la radio. Radio Nostalgia da Marte, come quel vecchio cartone degli anni ’90 coi topi motociclisti. Non è una grande idea.
Radio Nostalgia da Marte per distrarti dalla tua nostalgia fa ben poco. Sei lì che provi a non pensare alla brutalità del brutalismo in questo scenario da post-apocalisse e Francesco ti racconta di com’è stato prelevato per essere portato su Marte e di quella canzone antimilitarista della Prima Guerra Mondiale che gli cantava il papà. L’italiano è un po’ incerto, la voce pure. Dal peso delle parole di quel testo però non scappi, non scappi mai più. La settimana scorsa eri lì a ripetere che essere italiani nei giochini non può e non deve spostare un cazzo. Quel momento, quel momento maledetto come Gorizia in cui Francesco ti parla di suo padre attraverso un testo che è del secolo scorso anche per te, ti taglia le gambe.
Golf Club Wasteland è politica. A volte in modo così sfacciatamente di sinistra che Neil Druckmann al confronto è repubblicano. Quella di Francesco è una di un po’ di storie, forse manco quella più interessante. Solo quella che mi ha preso di più, più che altro. Ascolto e sono improvvisamente nel 2004 dei servizi del TG da Nassiriya, quando avevo una paura fottuta che toccasse al mio di padre fare il cosplay di O Gorizia tu sei maledetta.
Puoi mai essere preparato a una cosa così? I cazzi tuoi sbattuti in faccia a tradimento, per di più da un giochino di golf fatto in Serbia. Che poi aridaje co’ sto golf che in realtà Golf Club Wasteland è più che altro un platform. Dove il gameplay è pure inutile perché selezioni dal menu iniziale story mode e via, finire ogni buca entro un certo numero di tiri (pure abbastanza generoso) serve solo a sbloccare le entry del diario. È il terzo? Il quarto? Non lo so, l’ennesimo livello della narrazione di tutta l’opera. Una ricompensa inutile per degli sforzi inutili che hai fatto perché sì, perchè in qualche modo la giornata la devi occupare. E giocare a golf in mezzo a quello che resta della tua vita non sarà mica peggio che bere acqua ottenuta dalla tua urina.